Storia

20 settembre 1870: 150 anni fa Roma capitale del Regno d’Italia

La liberazione della Città Eterna e la fine del potere temporale dei papi

Oggi ricade l’anniversario dei 150 anni della liberazione di Roma, con l’ingresso dell’esercito italiano attraverso la famosa breccia di Porta Pia; rivediamo quindi le fasi salienti degli avvenimenti che portarono a questo fondamentale passo del nostro Risorgimento nazionale.

“La nostra stella, o Signori, ve lo dichiaro apertamente, è di fare che la CittàEterna, sulla quale 25 secoli hanno accumulato ogni genere di gloria, diventi la splendida capitale del Regno italico”.

[Cavour, discorso al Parlamento del Regno di Sardegna 11 ottobre 1860]

Con la nascita del Regno d’Italia era chiara a tutti la legittima aspirazione degli italiani ad avere Roma capitale, ma le circostanze del momento (siamo nel marzo del 1861), non permettevano che tale desiderio potesse essere soddisfatto. Difatti Roma era sotto la protezione del governo francese di Napoleone III, il quale aveva bisogno dell’appoggio della destra clericale francese per rimanere saldo sul trono, per cui un’iniziativa militare italiana verso la Città Eterna era senz’altro esclusa dato che la cosa avrebbe comportato un improponibile scontro militare con la Francia. Per cui Torino rimase capitale del nuovo regno fino al febbraio del 1865, anno in cui fu spostata a Firenze (inizialmente era stata presa in considerazione Napoli, ma la decisione cadde poi su Firenze per la sua posizione geografica centrale maggiormente protetta). La decisione di spostare la capitale faceva parte di un accordo stipulato tra il Regno d’Italia e la Francia, accordo che prevedeva la fine della presenza militare francese a Roma in cambio dell’impegno italiano a non attaccare lo Stato Pontificio, fornendo come gesto di garanzia il cambio della capitale (il trasferimento della capitale da Torino diede vita a dei tumulti con un pesante bilancio di vittime, avvenimento al quale abbiamo dedicato un articolo nella nostra rubrica). Ovviamente tutto questo non costituiva una rinuncia da parte degli italiani all’aspirazione a fare di Roma la capitale del regno, e difatti vi furono innumerevoli tentativi diplomatici per convincere il pontefice Pio IX (lo stesso che aveva scomunicato Cavour e Vittorio Emanuele II) ad un accomodamento che permettesse alla Città Eterna di divenire capitale italiana, senza intaccare la dignità del papa fornendogli tutte le garanzie del caso; il pontefice, sia direttamente che tramite il suo segretario di stato cardinale Giacomo Antonelli, respinse ogni proposta di accordo.

Data la situazione di stallo diplomatico, vi furono tentativi extra governativi di colpi di mano su Roma, di cui il più noto è quello di Garibaldi che tentò di prendere Roma militarmente, tentativo che fallì con l’intervento dell’esercito italiano (il governo non poteva permettere un colpo di mano su Roma che avrebbe comportato la reazione francese) e lo scontro sull’Aspromonte del 29 agosto del 1862. Garibaldi ci riprovò poi nel 1867 sbarcando nel Lazio, ma i garibaldini furono sconfitti nella battaglia di Mentana (3 novembre 1867) dalle truppe pontificie unitesi ai francesi nel frattempo sbarcati a Civitavecchia (questa volta l’esercito italiano non intervenne non potendo varcare i confini dello Stato Pontificio in base agli accordi stipulati con la Francia). Per ora di avere Roma capitale d’Italia quindi non se ne parlava.

Arrivò poi il 1870, quando nel mese di luglio scoppiò la guerra franco-prussiana, che vide i tedeschi sbaragliare i francesi causando la caduta dell’impero di Napoleone III, aprendo così all’Italia la strada per Roma. In agosto il cardinale Antonelli inviò una nota alle potenze europee affinché si opponessero alle mire italiane su Roma, ma le cancellerie o non risposero o dichiararono che la cosa non le riguardava; l’aria era decisamente cambiata, ed ora l’Italia poteva agire.

In agosto il governo italiano mandò nell’Italia centrale un contingente agli ordini del generale Raffaele Cadorna (padre di quel Luigi che comanderà l’esercito italiano nella Grande Guerra fino a Caporetto, nonché nonno del Raffaele che sarà comandante dell’esercito partigiano), costituito da cinque divisioni per un totale di 50.000 unità. L’esercito pontificio,al comando del generale tedesco Hermann Kanzler, contava 13.600 uomini di varia nazionalità (francesi, irlandesi, austriaci, spagnoli e bavaresi) tra i quali 3.000 zuavi in maggioranza francesi, costituenti il reggimento più numeroso dell’esercito pontificio, nonché sua unità d’élite.

L’8 settembre il re d’Italia Vittorio Emanuele II inviò a Pio IX una lettera per cercare di convincerlo ad accettare la piega degli eventi e di permettere il pacifico ingresso delle truppe italiane a Roma ed evitare così lo scontro armato, ma il papa rispose in tono stizzito rendendo così inevitabile il confronto militare. Il giorno 11 ebbero inizio le operazioni che videro le cinque divisioni italiane convergere verso Roma provenendo da varie direttrici, mentre gli uomini di Kanzler ripiegavano verso Roma man mano che gli italiani avanzavano. Il 12 settembre la città fu dichiarata in stato di assedio dai difensori, il 15 la piazzaforte pontificia di Civitavecchia si arrese agli italiani senza combattere, mentre nei giorni precedenti erano state prese Velletri e Frosinone. Il 16 settembre le cinque divisioni italiane raggiunsero Roma, e Cadorna fece un ultimo tentativo di occupazione pacifica della città, invitando Kanzler a non opporre resistenza, ricevendone però un netto rifiuto.

Preso atto dell’impossibilità di giungere ad una soluzione pacifica nonostante i tentativi fatti, alle 5 del mattino del 20 settembre iniziò il bombardamento delle mura in vari punti, alle 9:10 venne aperta una breccia su Porta Pia, ed un battaglione di fanti e uno di bersaglieri vi entrarono; ci furono alcuni scontri con i pontifici fino alla resa che venne firmata da Kanzler alle 17:30. Gli italiani ebbero 49 morti e 141 feriti, mentre i pontifici contarono 19 morti e 68 feriti, con il che Pio IX poté dimostrare che Roma gli era stata presa con la forza (49 morti italiani che si sarebbero potuti evitare). Le truppe di Cadorna occuparono la città tranne la zona del Vaticano, come ordinato dal governo italiano, ed entro le 12 del giorno 21 tutti i soldati pontifici lascarono la città. Pio IX si ritirò in Vaticano non riconoscendo la sovranità italiana su Roma e dichiarandosi prigioniero politico del governo italiano, aprendo così quella Questione Romana che si protrasse fino la 1929 con la stipula dei Patti Lateranensi. Per la cronaca, come gesto di ripicca il papa si portò dietro le chiavi del portone del Quirinale, per cui si dovette far ricorso ad un fabbro. Finiva così lo Stato della Chiesa, un’anacronistica teocrazia che era la manifestazione di quel potere temporale giustificato da un documento, la Donazione di Costantino, che è stato dimostrato essere un falso storico (abbiamo dedicato un articolo a tale questione); per tale motivo si può senz’altro affermare che l’iniziativa militare italiana volta alla liberazione di Roma poneva fine ad un potere, quello temporale dei papi, che era del tutto illegittimo e che si era perpetrato nei secoli in forma di una abusiva occupazione di parte del suolo italiano.

Il 2 ottobre si svolse in tutta la provincia interessata il referendum per l’annessione, così come era accaduto per tutte le provincie annesse a partire dal 1860: 133.681 “si” contro 1.507 “no”; il 5 novembre venne creata la Provincia di Roma, ed il 3 febbraio del 1871 venne promulgata la legge che decretava il trasferimento della capitale del Regno d’Italia da Firenze a Roma. Il 2 luglio del 1871 Vittorio Emanuele entrò a Roma, accolto dalla folla festante in un tripudio di bandiere tricolori.

Marco Ammendola

Nell’immagine: Michele Cammarano “I bersaglieri alla presa di Porta Pia” (Museo di Capodimonte)

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Marco Amendola

Anche se faccio tutt'altro lavoro, sono da sempre appassionato di storia, un romanzo talmente avvincente che non necessita di un finale a sorpresa

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