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Come combattere un’epidemia? Come possono lo Stato e il cittadino cooperare per una soluzione? Ce lo dice José Saramago

Il romanzo “Cecità” di Josè Saramago, edito da Universale Economica Feltrinelli, è un racconto magistrale che, ai tempi del Covid-19, potrebbe aiutare a comprendere svariati meccanismi dello Stato e del popolo

“Il mondo è pieno di ciechi vivi” diceva Saramago in “Cecità”, uno dei titoli più celebri del Premio Nobel Portoghese, nonché uno dei più apprezzati.

C’era un vecchio con una benda nera su un occhio, un ragazzino che sembrava strabico (…) una giovane dagli occhiali scuri, altre due persone senza alcun segno visibile, ma nessun cieco, i ciechi non vanno dall’oculista (…)

Questo il punto d’avvio di una narrazione che vede, all’improvviso e per cause in principio sconosciute, la popolazione di un paese mai nominato ammalarsi di una strana epidemia, per altro contagiosa. Un automobilista fermo al semaforo si accorge di essere diventato improvvisamente cieco, anche se, davanti a sé, non vede tutto nero (è così che molti definiscono la cecità) ma piuttosto una macchia lattiginosa, come se fosse immerso in un mare di latte profondo, luminoso e al contempo oscuro, perché le forme e i contorni si confondono, arrivando persino ad annullarsi. Tornato a casa grazie all’aiuto di un ladro sotto le spoglie di un buon samaritano, racconta tutto alla moglie, con la quale due si reca da un medico specialista, dove, ad aspettare il proprio turno in sala d’attesa, incontrano un “vecchio con una benda nera” su un occhio, un “ragazzino strabico”, accompagnato da una donna e una “ragazza dagli occhiali scuri”.

“Il medico”, dopo aver esaminato l’uomo, capisce di trovarsi di fronte ad un caso mai visto e comincia ad indagare a fondo. Ma, ben presto, la cecità comincia a diffondersi, come se si trattasse di una patologia contagiosa e questo spinge le persone all’auto-isolamento, alla violenza, alla fame, ad assecondare degli istinti primordiali comuni a tutti gli esseri umani, anche se sopiti. La “moglie del medico” sembra l’unica a non essere contagiata. L’epidemia si diffonde in tutta la città e il governo del paese decide, temporaneamente, di isolare i gruppi di ciechi in alcuni edifici messi a disposizione da benefattori,  nella speranza di arginare la malattia, il cui grado di contagiosità è ancora sconosciuto.

Un romanzo che, in particolar modo in un periodo così complesso della nostra storia, ci insegna ad affrontare un’emergenza in un modo magistrale, ma con l’umiltà della quale solo il maestro Saramago, Premio Nobel Portoghese, era capace. Un titolo che porta in sé la grande responsabilità di esprimere anche pareri discordanti, rispetto ad un governo inconsapevole e, molte volte, azzardato e che rimanda agli uomini come a bestie incontrollate che farebbero di tutto per sopravvivere, anche a discapito di altri uomini. Josè Saramago ci insegna che la paura, quando è totalizzante, tramuta l’uomo nel più primordiale degli animali, di modo che la ragione sia sottomessa all’istinto e che ogni azione moralmente corretta venga annullata da quell’egoismo di fondo che è proprio del senso di sopravvivenza.

Carlotta Casolaro

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Redazione La Voce

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