Coronavirus: un’azienda su tre rischia la chiusura

La Nota dell'ISTAT sull'andamento dell'Economia italiana

Le misure di contenimento dell’epidemia hanno avuto un impatto significativo sul sistema produttivo italiano. Solo il 32,5% delle imprese (48,3% degli addetti, 54,0% del valore aggiunto) ha dichiarato di avere potuto operare durante le varie fasi di lockdown, mentre il 43,8% (26,9% degli addetti, 21,2% del valore aggiunto) ha dovuto sospendere la propria attività almeno fino al 4 maggio. Le conseguenze economiche hanno riguardato, pur con diverse intensità, l’intero sistema produttivo, colpendo anche il 49,1% delle imprese più produttive, che sono state in condizione di lockdown almeno fino al 4 maggio. E’ quanto emerge dalla Nota sull’andamento dell’economia italiana diffusa dall’ISTAT.

L’impatto della crisi sulle imprese è stato di intensità e rapidità straordinarie, determinando seri rischi per la sopravvivenza: il 38,8% delle imprese italiane (pari al 28,8% dell’occupazione, circa 3,6 milioni di addetti, e al 22,5% del valore aggiunto, circa 165 miliardi di euro) ha denunciato l’esistenza di fattori economici e organizzativi che ne mettono a rischio la sopravvivenza nel corso dell’anno. Il pericolo di chiudere l’attività è più elevato tra le micro imprese (40,6%, 1,4 milioni di addetti) e le piccole (33,5%, 1,1 milioni di occupati) ma assume intensità significative anche tra le medie (22,4%, 450 mila addetti) e le grandi (18,8%, 600 mila addetti). Utilizzando i cluster individuati dalle analisi sul Censimento permanente delle imprese 2019, è anche possibile valutare la presenza di eventuali effetti selettivi legati al grado di dinamismo dell’impresa (1): il rischio di chiusura riguarda più di un terzo delle unità produttive con basso dinamismo, mentre la quota si riduce a circa un quinto per quelle più dinamiche.

A livello settoriale, la criticità operativa delle imprese riflette la mappa associata ai provvedimenti di chiusura, colpendo in maniera più evidente i servizi ricettivi e alla persona: il 65,2% delle imprese dell’alloggio e ristorazione (19,6 miliardi di euro di valore aggiunto, poco più di 800 mila occupati) e il 61,5% di quelle nel comparto dello sport, cultura e intrattenimento (3,4 miliardi di euro di valore aggiunto, circa 700 mila addetti). Anche negli altri settori l’impatto è rilevante, interessando circa un terzo delle imprese della manifattura (4 miliardi di euro di valore aggiunto, 760 mila addetti), delle costruzioni (1,3 miliardi di euro valore aggiunto, circa 300 mila occupati) e del commercio (2,5 miliardi di valore aggiunto, poco meno di 600 mila addetti).

La prospettiva di chiusura dell’attività è determinata prevalentemente dall’elevata caduta di fatturato (oltre il 50% in meno rispetto allo stesso periodo del 2019, che ha riguardato il 74% delle imprese e dal lockdown (59,7% delle imprese). I vincoli di liquidità (62,6% delle unità a rischio chiusura) e la contrazione della domanda (54,4%) costituiscono i principali fattori che hanno inciso sul deterioramento delle condizioni di operatività delle imprese mentre i vincoli di approvvigionamento dal lato dell’offerta hanno rappresentato un vincolo più contenuto (23%).

Rispetto alla performance, il rischio operativo coinvolge il 63,2% del segmento di imprese caratterizzato da una elevata fragilità (livelli limitati di produttività e alta frammentazione; circa 250 mila imprese che occupano 1,2 milioni di addetti). Questo insieme comprende prevalentemente micro e piccole imprese che operano nell’alloggio e ristorazione, ma anche in settori colpiti dalla crisi sanitaria in maniera meno diretta, come la manifattura e il commercio. L’incertezza per l’operatività futura coinvolge anche le imprese produttive e con alta rilevanza sistemica (11,1%, 14,1% del valore aggiunto e 1,5 milioni di occupati) caratterizzate da un numero di addetti superiore a 10 che operano in settori direttamente colpiti dalla crisi, quali i servizi connessi al
turismo, l’alloggio e ristorazione e attività dello sport, cultura e intrattenimento.

La crisi ha creato una frattura che ha coinvolto le imprese lungo due direttrici. Da una parte, nei settori più profondamente colpiti dagli effetti dei provvedimenti di contenimento della pandemia, le conseguenze sono state rilevanti non solo per gli strati più fragili del tessuto produttivo, ma anche per le componenti più solide dal punto di vista sia strutturale sia di performance. Dall’altra, nei settori meno coinvolti dal lockdown, la crisi ha colpito in modo rilevante le imprese fragili e meno dinamiche.

Le strategie di reazione

Il sistema produttivo italiano sta reagendo alla eccezionalità della fase economica in maniera differenziata per dimensione e livello di dinamismo. Più di un terzo delle imprese (circa 360 mila unità, 24,3% degli occupati, 21,2% del valore aggiunto) ha dichiarato di non avere adottato alcuna strategia per fronteggiare la crisi. Questo insieme è caratterizzato dalla presenza di micro-imprese (38,1%, 370 mila addetti) e unità produttive marginali (37,5%, 1 milioni di occupati), che verosimilmente dispongono di ristretti margini di movimento. Le imprese che hanno invece manifestato la volontà di predisporre strategie di reazione mostrano obiettivi organizzativi molto diversi: il 31,1% (circa 10% del valore aggiunto, poco più dell’8% dell’occupazione) prevede di contrarre l’attività, l’occupazione e/o gli investimenti; il 27,1% (30% del valore aggiunto, quasi 32% dell’occupazione) ha come obiettivo la crescita (dei prodotti, dei mercati, delle relazioni); il 41,8% (poco meno del 34% del valore aggiunto, il 37% degli addetti), infine, sta riorganizzando e adattando la propria attività.

Dall’analisi settoriale, dimensionale e per profilo di impresa emergono polarizzazioni tra comportamenti di tipo espansivo o riorganizzativo legati probabilmente ai diversi gradi di maturazione organizzativa. La prima tipologia coinvolge prevalentemente le imprese dell’industria in senso stretto (30,5%), del commercio (31,9%) e quelle con meno di 50 addetti mentre l’orientamento alla riorganizzazione è più marcato nelle costruzioni (43,8%), nei servizi di mercato (42,9%), nei servizi alla persona (55,2%) e tra le imprese con 50 e più addetti.

Rispetto al profilo, le imprese più produttive e maggiormente integrate nel tessuto economico manifestano una prevalenza di strategie improntate alla riorganizzazione (43,4%) rispetto all’espansione (28,7%). Nel comparto industriale e nel commercio, si registra anche una maggiore tendenza verso strategie di espansione (rispettivamente 30,5% e 31,9%), reazione che prevale anche nel segmento delle piccole imprese (28,8%). Un ulteriore elemento di resilienza è legato al fatto che nelle imprese produttive e sistemiche si riscontra una maggiore tendenza sia verso strategie espansive (28,7%) sia verso strategie di riorganizzazione (43,4%). Queste ultime sono particolarmente utilizzate dalle imprese che operano nei servizi alla persona (55,2%) e in quelle di maggiori dimensioni (46,1%% nelle medie, 51,6% nelle grandi).

Il quadro che emerge dai dati raccolti attraverso l’indagine speciale condotta sulle imprese, integrati con quelli di natura quantitativa presenti nei registri statistici dell’Istat, sembra mostrare da un lato significativi segnali di resilienza, veicolati attraverso strategie adattive di espansione e riorganizzazione, dall’altro seri rischi di tenuta operativa presenti in numerosi segmenti del sistema, con particolare riferimento alle micro-imprese o alle aziende con bassi livelli di produttività.

Caduta e ripresa dell’attività manifatturiera

Per la manifattura è possibile collegare le informazioni provenienti dall’indagine speciale di maggio con gli andamenti dell’indice mensile della produzione industriale, disponibile fino al mese di aprile. Considerando una disaggregazione dei settori riferita alle due lettere della classificazione Ateco, sono stati calcolati i quartili della distribuzione dei tassi di crescita dell’indice di produzione industriale tra aprile e febbraio, affiancandoli alle informazioni su imprese a rischio, effetti della crisi e strategie di reazione. In tal modo i settori sono stati classificati in gruppi che vanno da quelli che hanno contratto in misura più accentuata la produzione (quarto quartile, seconda colonna della tabella) a quelli che invece hanno registrato flessioni più contenute (primo quartile). Il secondo e il terzo quartile rappresentano le situazioni intermedie. Il quadro complessivo restituisce un’analisi articolata dei settori. Quelli caratterizzati da andamenti in miglioramento o in calo più contenuto (primo quartile), come il settore alimentare, bevande e tabacchi e la chimica e farmaceutica, evidenziano anche livelli contenuti di imprese a rischio (28,9% e 20,1% rispettivamente) e una significativa propensione all’espansione dell’attività (16,2% e15,7%), pari a circa due volte la media della manifattura. L’industria chimica e farmaceutica mostra anche forti vincoli dal lato dell’offerta (46,9%, circa 15 punti in più della media della manifattura). Meno favorevoli appaiono le prospettive dichiarate dalle imprese del legno, carta e stampa.

Il tessile, abbigliamento e pelli appare caratterizzato da una forte polarizzazione, con un livello elevato di imprese a rischio (48,2%) accompagnato da una quota significativa di imprese che dichiara di avere avviato strategie di riorganizzazione e cambiamento (38,4%).

Le criticità più marcate si manifestano nei minerali non metalliferi (quarto quartile) e metallurgia e prodotti in metallo (secondo quartile) entrambi contraddistinti da quote elevate di imprese che dichiarano di contrarre la
propria attività (37,1% e 41,1%) e nel caso della metallurgia anche un valore elevato per i vincoli dal lato dell’offerta (39,0%). Infine, la presenza di forti vincoli dal lato della domanda caratterizza gli altri 3 settori del
quarto quartile, Mezzi di trasporto, mobili e altre manifatture (rispettivamente 69,9%, 66,6% e 66,8%).

I settori manifatturieri mostrano una decisa resilienza che potrebbe suggerire una ripresa dei ritmi produttivi in presenza di una riorganizzazione dei processi. La mancanza di una risposta adeguata alla crisi e l’esistenza di vincoli dal lato sia della domanda sia dell’offerta costituiscono comunque un elevato fattore di rischio per la ripartenza.

La Voce

Fonte: ISTAT

1- I dati si riferiscono ai cluster definiti nell’ambito del Censimento permanente delle imprese 2019: i primi risultati, che caratterizzano le imprese sulla base del loro dinamismo strategico.

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