Storia

Enrico Dandolo: il grande ed astuto doge che diede un impero a Venezia

Il fondatore della potenza marittima commerciale della Serenissima Repubblica

Avendo recentemente dedicato un articolo ad Andrea Doria, ed avendo con esso celebrato la gloria di Genova, è praticamente d’obbligo dare voce anche alla grandezza di Venezia e della sua Serenissima Repubblica; e lo faremo parlando del più grande doge nella storia della Serenissima, colui che gettò le basi per la fondazione della secolare potenza veneziana: Enrico Dandolo.

Il futuro doge nacque nel 1107 a Venezia e la sua carriera politica ebbe inizio nel 1172 come ambasciatore presso l’Imperatore bizantino Manuele Comneno e successivamente presso la corte di Guglielmo II re di Sicilia. Nel 1174 poi, Dandolo cominciò a perdere progressivamente la vista e col tempo divenne completamente cieco. Ma Enrico Dandolo era uomo di tempra e la menomazione alla vista non ne scalfì minimamente l’ambizione e la voglia di fare; continuò imperterrito a lavorare come politico e diplomatico al servizio della Repubblica, tanto che nel 1192, benché ormai praticamente cieco, arrivò ad indossare il corno ed il mantello di porpora: Enrico Dandolo, all’età di ottantacinque anni, era divenuto doge di Venezia.

Nei primi anni della sua attività come capo della Repubblica, Dandolo si impose subito come grande riformatore, innanzitutto abolendo il diritto consuetudinario (cioè quello non scritto e basato esclusivamente su usi consolidati) sostituendolo con un vero e proprio codice civile di settantaquattro leggi, che rimasero in vigore fino al 16° secolo. Riformò inoltre il sistema monetario facendo della valuta veneziana la più importante ed utilizzata dell’intero bacino del Mediterraneo.

Ma fu in politica estera che il doge compì la storica impresa, quando il papa di allora Innocenzo III bandì la quarta Crociata. Le truppe cristiane sarebbero dovute partire via mare da Venezia, la cui flotta avrebbe trasportato ed approvvigionato le forze cristiane durante la spedizione. Peccato però che a conti fatti, giunti poco prima della partenza prevista (giugno 1202), i crociati si accorsero di non avere il denaro per pagare i veneziani per i loro servigi. La situazione si fece tesa: i crociati erano smaniosi di partire, e i veneziani ancora non vedevano il denaro pattuito. Intervenne allora il nostro doge Enrico Dandolo, con un’astuta mosse che permise di salvare capra e cavoli a tutto vantaggio di Venezia. La trovata dell’anziano doge fu la seguente: i veneziani avrebbero onorato gli impegni trasportando con la loro flotta l’esercito cristiano, ed i soldati crociati avrebbero ricompensato Venezia conquistando per essa le città adriatiche alle quali la repubblica aspirava. Risultato: Venezia si impadronì di Trieste e Zara. Ma soprattutto, a comandare la flotta c’era proprio l’ottantacinquenne cieco doge di Venezia.

A questo punto i piani, che prevedevano il trasporto dell’esercito crociato in Egitto per combattere i musulmani, ebbero un brusco cambiamento. Difatti la spedizione guidata da Dandolo ricevette la richiesta di aiuto da parte di Alessio IV, figlio dell’imperatore bizantino Isacco II; quest’ultimo era stato detronizzato dal fratello Alessio III, per cui lo spodestato principe offrì aiuti economici e militari alla spedizione se i crociati e i veneziani gli avessero riconquistato il trono.

Fu così che la spedizione deviò dal proprio percorso per fare tappa a Costantinopoli, ed il 24 giugno del 1203 l’esercito crociato, trasportato dalla flotta veneziana, sbarcò in prossimità delle mura di Costantinopoli. Alessio IV aveva convinto i crociati che la popolazione della città li avrebbe accolti con gioia, ma invece l’esercito appena sbarcato si trovò le porte sbarrate e le mura presidiate dai difensori. La città fu allora presa con la forza ed il 17 luglio i crociati entrarono a Costantinopoli. Peccato però che ci si accorse che le casse dello stato bizantino erano vuote ed Alessio IV non era in grado di onorare gli impegni presi con i crociati e i veneziani.

Venne a crearsi una situazione di forte tensione tra gli occidentali e gli abitanti di Costantinopoli, situazione che precipitò quando Alessio V (che aveva partecipato alla precedente usurpazione a danno del padre di Alessio IV) fece strangolare Alessio IV e, preso il potere, impose ai crociati di lasciare Costantinopoli. A questo punto crociati e veneziani decisero che la misura era colma e presero a saccheggiare la città e prenderne il controllo: gli occidentali si diedero al massacro della popolazione e profanarono chiese e monasteri, dando vita ad uno dei saccheggi più violenti e disonorevoli nella storia dell’occidente cristiano.

Il bottino fu particolarmente ricco, sia in termini economici sia di acquisizioni territoriali, soprattutto per Venezia: grazie all’abilità diplomatica di Enrico Dandolo, alla Repubblica andarono buona parte delle isole dell’Egeo e l’importantissima base commerciale rappresentata dall’isola di Creta, determinando così la nascita dell’impero marittimo commerciale di Venezia. 

Enrico Dandolo, il fondatore della potenza veneziana, non fece mai più ritorno in patria: lavorò fino all’ultimo per consolidare le conquiste veneziane in oriente e morì per le conseguenze di una grave ernia inguinale nel maggio del 1205, all’età di novantotto anni.

Una curiosità. I quattro cavalli di bronzo che oggi adornano la facciata della basilica di San Marco a Venezia, sono una copia (gli originali sono conservati nel museo della basilica) di quelli che i veneziani presero durante il saccheggio di Costantinopoli e che Enrico Dandolo fece poi inviare nella città lagunare come trofeo.  

Marco Ammendola

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Marco Amendola

Anche se faccio tutt'altro lavoro, sono da sempre appassionato di storia, un romanzo talmente avvincente che non necessita di un finale a sorpresa

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