Storia

Fritz Haber e le armi chimiche: la scienza al servizio della guerra

Un grande scienziato che ha dedicato la vita alla chimica, nel bene e nel male

La Prima Guerra Mondiale è stato il primo conflitto nel quale siano state usate armi chimiche su larga scala, gas venefici che causavano la morte o l’invalidità, spesso permanente, di chi ne era colpito. Uno dei creatori di queste armi terribili fu un grande chimico tedesco, passato alla storia come l’inventore della guerra chimica moderna: Fritz Haber.

Nacque a Breslavia (attualmente in Polonia) da una famiglia di origini ebree il 9 dicembre del 1868 (la madre morì pochi giorni dopo la sua nascita), per cui gli anni della sua formazione giovanile coincisero col clima di esaltazione nazionalistica suscitata dall’unificazione della Germania, avvenuta nel 1871. Studiò chimica all’università di Heidelberg e prima di cominciare la sua attività accademica lavorò nell’impresa chimica del padre. Tra il 1894 e il 1911 sviluppò assieme a Carl Bosch il processo produttivo che da loro prese il nome, processo Haber-Bosch, per la produzione dell’ammoniaca dai suoi elementi, avvero da azoto e idrogeno. Un merito non da poco se si pensa che è proprio a partire dall’ammoniaca che si producono i fertilizzanti azotati, il cui uso ha determinato la crescita del rendimento dei terreni agricoli di un fattore sei; insomma, Haber ha indirettamente risolto il problema della fame a milioni di persone. Quando però scoppiò la Prima Guerra Mondiale, il nostro scienziato mise le sue conoscenze di chimico al servizio della Germania del Kaiser, dedicando il suo talento allo sviluppo delle armi chimiche. E anche in questo caso, non più al servizio del progresso, ma per lo sterminio di esseri umani, Haber ebbe successo: il pomeriggio del 22 aprile del 1915, nelle trincee tedesche nei pressi della cittadina belga di Ypres, 6.000 bombole contenenti cloro gassoso furono aperte liberando in dieci minuti 170 tonnellate di gas venefico che inondarono le trincee franco-inglesi su un settore del fronte largo sette chilometri. Circa 5.000 soldati morirono soffocati in pochi minuti, mentre quelli che non furono direttamente intossicati fuggirono, determinando il crollo di quel settore del fronte (ma i tedeschi non seppero sfruttare questo risultato e furono poi respinti).

Bisogna dire che le conseguenze dell’uso delle armi chimiche durante la guerra non fu certo paragonabile a quello delle armi convenzionali (le vittime dei gas in tutto il conflitto furono poco più del tre percento del totale dei caduti), ma i gas avevano effetti devastanti sulla tenuta psicologica dei combattenti: per quanto protetti dalle maschere, vedersi venire incontro una gigantesca nuvola giallognolo-verdastra, faceva scattare qualcosa di terrorizzante nella mente dei soldati, un meccanismo mentale che legava la loro sopravvivenza al più semplice e vitale dei gesti: il respiro.

Comunque i gas non ebbero il successo sperato dai tedeschi, che alla fine persero la guerra. E Haber perse anche sua moglie Clara (anche lei un chimico), che ripudiando l’uso bellico dei gas, supplicò il marito di rinunciare all’idea; ma lui non ne volle sapere. Nessuno può dire se vi fosse una connessione con il rigetto del pensiero che la chimica venisse usata dal marito per produrre armi di sterminio, ma di li a poco Clara si suicidò. Nel 1918 Fritz Haber ricevette il Nobel per la chimica relativamente i suoi studi sulla sintesi dell’ammoniaca, suscitando non poche polemiche.

Nel periodo tra le due guerre Haber realizzò la sintesi industriale dell’acido cianidrico, originariamente destinato alla disinfestazione dai parassiti, ma che trovò poi (e qui Haber non aveva alcuna responsabilità) un tragico utilizzo ad opera dei nazisti: a quel composto fu dato il nome commerciale di Zyklon B, il gas usato nei campi di sterminio (anche alcuni parenti di Haber morirono nelle camere a gas).

Il nostro fu poi uno dei tanti scienziati colpiti dalle leggi razziali, che escludevano gli ebrei da qualunque incarico statale in Germania. Per Haber fu un trauma: lui, sinceramente patriottico, che era cresciuto all’ombra del mito della grandezza della nazione tedesca, quella stessa nazione che ora lo ripudiava, vedeva crollare il mondo in cui credeva e al quale aveva dedicato i suoi studi. Anche se la legge escludeva il licenziamento per gli ebrei che avevano avuto dei meriti in guerra, Haber decise di lasciare comunque l’incarico di ricercatore, perché conservandolo avrebbe dovuto necessariamente licenziare i suoi collaboratori ebrei.Emigrò in Gran Bretagna per poi decidere di trasferirsi in Palestina, ma morì durante il viaggio, a causa di un attacco cardiaco. Era il 29 gennaio del 1934.

Un altro grande scienziato ebreo tedesco, con cui Haber tenne una fitta corrispondenza, dedicò al grande chimico un epitaffio che sottolineava l’ingratitudine della Germania verso un uomo che l’aveva amata, e alla cui causa si era dedicato: “la tragedia dell’ebreo tedesco, la tragedia di un amore non corrisposto”, firmato Albert Einstein.

Marco Ammendola

Foto: militari tedeschi con armi chimiche (Haber è il secondo da sinistra).

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Marco Amendola

Anche se faccio tutt'altro lavoro, sono da sempre appassionato di storia, un romanzo talmente avvincente che non necessita di un finale a sorpresa

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