Storia

Giovanni dalle Bande Nere: il valore di un cavaliere battuto dal progresso

Con l’arrivo delle armi da fuoco la cavalleria vede finire la propria epoca

Con questo articolo riprendiamo la serie di biografie dei grandi condottieri italiani del Rinascimento, argomento al quale abbiamo dedicato in passato ampio spazio; e lo faremo andando a conoscere quello che da alcuni è considerato il più grande, il più valente ad audace dei capi militari italiani del suo tempo, ossia Giovanni dalle Bande Nere.

Cominciamo col dire che il nostro condottiero era un Medici, essendo figlio di Giovanni de’ Medici, (appartenente al ramo secondogenito dell’illustre famiglia) e di Caterina Sforza, figlia di Galeazzo Sforza duca di Milano. In realtà alla nascita, avvenuta il 6 aprile 1498 a Forlì, il piccolo fu battezzato come Lodovico, ma il nome gli fu poi cambiato dalla madre in onore del marito venuto a mancare nel dicembre dello stesso anno della nascita del futuro eroe. Il bambino passò la propria infanzia a Firenze, distinguendosi fin da ragazzino per essere particolarmente portato per le attività fisiche come il cavalcare, e per la sua predisposizione all’uso delle armi, divenendo protagonista di numerosi duelli. Il nostro focoso giovanotto si sposterà poi a Roma presso la corte pontificia di Leone X, suo zio di secondo grado essendo figlio di Lorenzo il Magnifico.

Nel 1516 il nostro ardimentoso guerriero ebbe il battesimo del fuoco nelle guerre che opponevano il papa al duca d’Urbino Francesco Maria della Rovere; appena diciottenne, Giovanni ebbe il comando di 100 cavalieri, distinguendosi in combattimento per il valore e l’ardimento.

Arriviamo poi al 1521(siamo nelle periodo di quel ciclo di conflitti tra Francia ed Impero che va sotto il nome di Guerre d’Italia sito tra il 1494 al 1559), quando Giovanni sarà al comando della cavalleria pontificia nella guerra tra il papa, alleato degli imperiali, contro l’alleanza franco veneziana; e fu in questa occasione che prenderà corpo la tattica che contraddistinguerà di lì in poi il nostro condottiero, ossia l’attaccare il nemico nelle retrovie, con azioni di scaramuccia fulminee che indebolivano la parte avversaria soprattutto privandola degli indispensabili rifornimenti; spesso le incursioni erano notturne, e il nostro capitano fece per questo brunire le armature dei suoi uomini per poter balzare addosso al nemico nell’oscurità senza essere notati fino all’ultimo istante. Anche in questa guerra Giovanni seppe mettere in campo tutto il suo valore, attaccando sempre risolutamente il nemico, mai sottraendosi allo scontro, battendosi con impeto ed arrivando perfino ad attraversare fiumi a nuoto per raggiungere rapidamente l’avversario. E fu in quello stesso 1521 che Giovanni acquisì quel nome di “Bande Nere” che lo accompagnerà per il resto della sua vita e con il quale passò alla storia; difatti in quell’anno morì lo zio papa Leone X e da lì in poi il capitano de’ Medici indosserà le fasce nere in lutto perpetuo.

Ma Giovanni, che aveva dimostrato sul campo il suo valore di soldato, era pur sempre un capitano di ventura, ossia un mercenario; e dato che il mancato pagamento di quanto pattuito da parte dell’imperatore Carlo V creò dei forti contrasti tra i due, Giovanni decise di passare al campo avverso, ossia al soldo del re di Francia Francesco I. Nelle nuove vesti di soldato del re di Francia, il nostro partecipò alla battaglia della Bicoccca del 27 aprile del 1522 ingaggiando per primo lo scontro con gli imperiali e facendoli indietreggiare, ma le altre truppe francesi non si dimostrarono alla stessa altezza dei soldati comandati dal nostro capitano, ed alla fine la battaglia fu vinta dagli imperiali; i quali, giusto per la cronaca, dovettero rinunciare ad inseguire i francesi in ritirata proprio perché rallentati da Giovanni e dai suoi, sempre presenti sul campo di battaglia nel punto in cui massimo era il bisogno.

Vi fu poi una tregua d’armi, ma nel 1523 Francesco I, non ritenendosi sconfitto, fece ritorno in Italia per riprendersi Milano persa durante la campagna precedente; questa volta però, appianati i dissidi con l’imperatore, Giovanni militò nuovamente in campo imperiale, anche qui andando di vittoria in vittoria, contribuendo poi al fallimento dell’assedio di Milano e alla sconfitta francese. Ma il re di Francia ancora una volta non ne voleva sapere di darsi per vinto e ci riprovò iniziando un’altra campagna in Italia; e Giovanni cambiò nuovamente “datore di lavoro” tornando a combattere tra le schiere francesi. Il 24 febbraio 1525 ebbe luogo la storica battaglia di Pavia (24 febbraio 1525), in cui i francesi furono sonoramente battuti dagli spagnoli di Carlo V, e Francesco I sarà preso prigioniero; ma Giovanni questa volta non prese parte alla battaglia, essendo convalescente per una ferita riportata alcuni giorni prima in uno contro gli imperiali. Se Giovanni dalle Bande Nere fosse stato sul campo a Pavia, la battaglia avrebbe avuto un esito diverso? Secondo alcuni si, ed è probabile.

Vi sarà poi un’altra campagna d’Italia, quella in cui una lega di stati italiani capeggiati dal papa ed alleati della Francia cercheranno di cacciare gli imperiali dalla penisola. E Giovanni fu uno dei capi militari che guidarono la lotta anti-imperiale, anche questa volta distinguendosi per l’efficacia delle sue scorrerie contro le linee di riferimento nemiche, sempre dimostrando un coraggio ed uno sprezzo del pericolo non comuni, tanto da essere anche “ripreso” dagli altri capi della coalizione, che vedevano la possibilità della caduta di un guerriero del suo livello come una perdita irreparabile.

La situazione si fece però oltremodo critica per la coalizione quando dalla Germania giunsero in Italia 12.000 lanzichenecchi imperiali, al comando del capitano Giorgio von Frundsberg. I capi della coalizione decisero quindi il da farsi, il che non poteva che consistere nell’affidare a Giovanni la solita sperimentata ed efficacissima tattica del logorio delle forze nemiche tramite le ardite azioni di retroguardia (i lanzichenecchi sperimentarono a loro spese il valore di Giovanni e dei suoi, tanto da soprannominarlo il “Gran Diavolo”); anche perché le fanterie italiane non sarebbero mai state in grado di fronteggiare i lanzichenecchi in uno scontro campale.

Arriviamo quindi al novembre del 1526, quando si presentò l’occasione di attaccare alle spalle il nemico in movimento. Ma accadde che il giorno 24 Giovanni e i suoi trovarono chiusi presso Curtatone i ponti d’ingresso al Serraglio, l’opera fortificata a difesa del territorio mantovano, mentre il giorno prima i lanzichenecchi del Frundsberg l’avevano trovata aperta; il tutto per volere del marchese di Mantova Federico Gonzaga. Sfumò così la possibilità di colpire arditamente alle spalle l’esercito tedesco in movimento, per cui fu necessario assaltarlo quando era in schieramento presso Governolo; durante uno degli assalti dei cavalieri guidati da Giovanni, questi furono accolti dall’inaspettato fuoco di tre falconetti (pezzi di artiglieria d’epoca rinascimentale, innovativi per quei tempi) che erano stati forniti al Frundsberg dal duca di Ferrara Alfonso I d’Este, nemico del pontefice. Giovanni venne colpito alla gamba destra dalla palla di uno di quei falconetti, la ferita si infettò ed andò in cancrena, l’arto fu amputato, ma l’infezione ormai troppo estesa non poté essere fermata. Giovanni dalle Bande Nere morì tre giorni dopo, il 30 novembre del 1526. I lanzichenecchi del Frundsberg, al soldo dell’imperatore Carlo V, giungeranno a Roma il 6 maggio del 1527 e la città verrà messa al sacco.

Moriva così uno degli uomini d’arme più valorosi nella storia d’Italia, amato dai suoi uomini, ammirato dagli altri capitani (anche quelli nemici), un uomo che aveva dedicato la vita combattendo per il soldo, ma che non aveva mai dimenticato la lealtà e la dedizione ai valori cavallereschi. La sua tattica innovativa, fatta di rapide incursioni di cavalleria leggera, finalizzata al “punzecchiare” l’armata nemica sfinendola con infinite scaramucce, o per sottrarle con rapide incursioni la preziosa artiglieria, stava portando sempre più rapidamente verso la fine (ancora lontana ma che andava prendendo corpo) della concezione del quadrato statico di picchieri e del suo uso tattico in battaglia. E proprio la morte di un così valoroso uomo d’arme per opera di un’arma da fuoco, massima negazione dei valori cavallereschi, fece sì che gran parte dei condottieri dell’epoca facesse una sorta di appello affinché quelle terribili armi non venissero più usate sui campi di battaglia. L’appello, come sappiamo, rimase inascoltato.

Una curiosità. Giovanni ebbe dalla moglie Maria Salviati, sposata nel 1516, un figlio che fu chiamato Cosimo; questi diverrà nel 1569 il primo Granduca di Toscana, ossia fu a capo di quel Granducato di Toscana che sarà retto dai Medici e successivamente dagli Asburgo-Lorena fino alla sua annessione al Regno d’Italia nel 1860.

Marco Ammendola

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Marco Amendola

Anche se faccio tutt'altro lavoro, sono da sempre appassionato di storia, un romanzo talmente avvincente che non necessita di un finale a sorpresa
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