La "Sophia"

Guarda laddove nessuno vuole guardare

L’attuale situazione e lo sguardo oltre: quanta umanità vive ancora dentro di noi?

Ti informi su quello che sta succedendo nel mondo? Quali sono i prossimi passi e cosa ci aspetta, cosa possiamo e non possiamo fare. Sei informato sui rischi, sulle conseguenze, sulle reclusioni che determinate scelte possono portare? E sì, hai deciso se vaccinarti o non vaccinarti?

Adesso voglio chiederti, tu dove sei in tutto questo?

Cosa vuol dire dove sono? Sono qua.

No, voglio chiederti dove sei tu con tutto te stesso?

Forse risponderai ancora “sono qua”.

Ma sei sicuro di questo? Sei sicuro di essere ancora qua con tutto te stesso?

Dove sei tu con la tua vita? Dove sei tu con le tue idee, desideri, sentimenti, ambizioni e obiettivi? Quanto posto c’è ancora nel nostro mondo per queste cose? Quanto posto c’è ancora per noi, per la nostra umanità?

Voglio parlare di ciò di cui nessuno vuole parlare perché troppo presi dal combattimento, dalla lotta gli uni contro gli altri.

Siamo sicuri che saremmo in grado di affrontare ogni giorno le sfide che da quasi due anni viviamo senza mettere da parte noi stessi? Siamo sicuri che la nostra umanità sarebbe in grado anche un solo giorno di sopportare ciò che stiamo sopportando, ognuno nella propria modalità? Siamo sicuri che per affrontare la lotta, la difesa, lo scontro non debba morire sempre qualcosa?

Qualche anno fa ho visto una serie tv in cui c’era una famiglia che aveva costruito la più grande compagnia musicale della storia. Erano diventati famosi ed erano pieni di soldi. Lungo il loro percorso succedevano una serie di drammi tipici della vita. La morte di qualcuno, la nascita di un bambino indesiderato, un amore impossibile ecc.

Tuttavia, ciò che mi colpì era che attraverso questo film si voleva mettere in luce come il successo, la fama e il mantenimento di quella compagnia fossero sempre al primo posto. Di fronte alle più grandi sofferenze della vita i personaggi semplicemente con sguardo freddo e distrutto continuavano nella loro battaglia, andavano oltre certe emozioni e sentimenti perché ciò che contava era il patrimonio famigliare.

Perché ti racconto questo?

Tutti nella vita dobbiamo fare così ad un certo punto. Ci sono momenti dove dopo una sconfitta dobbiamo rialzarci, lavorare, incontrare persone, costruire la nostra vita e sono d’accordo che è una grande forza che l’essere umano possiede, ovvero quella di razionalizzare le emozioni e i sentimenti e riuscire così ad andare oltre senza che queste emozioni e sentimenti lo possano scalfire.

Ammetto che ho sempre provato una grande ammirazione nei confronti di chi è forte in questo proprio perché reputo che io sia meno capace in questo.

Non farei ciò che faccio probabilmente se riuscissi a razionalizzare ciò che provo. Il mio modo di ritrovare la forza è proprio quello forse di condividerlo con gli altri e creare uno spazio dove viene reso più naturale questo modo di essere. Il mio modo di andare oltre è proprio quello di dire “non ce la sto facendo”.

È questo che sto notando nella nostra società:

Da una parte un’ammirevole resistenza e forza sperando che questo “reggere” conduca alla luce in fondo al tunnel e dall’altra parte una grande lacerazione interiore perché per sostenere le sfide occorre essere forti e mettere da parte i sentimenti, le debolezze, una parte importante di sé stessi, una parte del tutto umana che non vuole resistere e che non sa più che posto ha nel mondo.

Qualche settimana fa uscendo di casa mi è passata accanto una macchina con un motore abbastanza rumoroso, io andavo di fretta perché volevo togliermi l’impegno il prima possibile e tornare a casa. Quando la macchina mi è passata accanto mi ha trapassato una scossa in tutto il corpo e dentro volevo urlare e dire all’autista della macchina di smetterla e di essere più silenzioso. So che non sarebbe stato possibile e che il rumore forse non era neanche così alto. Infondo la persona stava solo guidando ma io l’ho percepito in modo così aggressivo, come una lancia nel corpo.

So che può sembrarti ridicolo ma quello che voglio dire è che non è la macchina il problema, se non fosse stata la macchina sarebbe stata un’altra cosa. Il problema di sentirsi così in quel momento è un altro.

Paura, insicurezza, non sapere dove andare. Sentirsi estraniati da sé stessi e forse persino non sentire più se stessi. Il bisogno di lasciare nuovamente spazio a quella vulnerabilità dentro di sé che anche se è rischiosa è pur sempre ciò che ci rende umani, vivi e non dei robot in grado di sopportare qualsiasi cosa.

Vedo dei robot intorno a me. Persone che continuano a reggere nonostante dentro siano lacerati. Vedo che tutti noi agiamo da robot.

So che la reazione naturale a un attacco è la difesa ma fino a quando vogliamo ancora difenderci? Cosa difendiamo se poi non lasciamo spazio alla nostra umanità?

Attenzione non sto dicendo che dobbiamo arrenderci di fronte alle sfide della vita. Mi sto solo chiedendo dove ci porta il continuo resistere per la paura di poter crollare?

La vera domanda che dovremmo porci è: perché non possiamo crollare? Perché il mondo vuole degli esseri umani invincibili, con un’armatura di ferro intorno al proprio cuore?

La lotta va bene e talvolta è necessaria ma credo anche che se a essa non viene affiancata una maggiore attenzione ai sentimenti e a quello che avviene nel mondo interiore, la lotta porti alla lacerazione, alla distruzione dell’umanità.

Non siamo robot. Non possiamo lottare senza il nostro cuore. Non possiamo sopportare tutto senza ascoltare il nostro cuore.

Oggi non vedo che viene dato uno spazio a queste tematiche, al fatto di “come stiamo veramente?”. Oggi vedo che si è focalizzati su un obiettivo importante ma senza prendere in considerazione noi nell’insieme.

Voglio renderti partecipe di questo perché credo che forse dentro tutti ci sentiamo così. Forse abbiamo messo da parte questa cosa per uscire fuori ogni giorno e poter dire al mondo che nulla ci scalfisce ma non è così.

Dentro abbiamo un gran bisogno di ossigeno.

La psicologia e le costellazioni famigliari di Bert Hellinger affrontano da sempre i traumi post-guerra; secondo le costellazioni alcune persone sono influenzate ancora oggi dai traumi subiti durante la guerra, eppure sembra che ancora non ci abbiamo capito niente. Continuiamo a traumatizzarci attraverso l’alienazione da noi stessi solo per poter vincere.

Ma quando avremo vinto chi saremo? Cosa dentro di noi goderà della vittoria? Ci sarà ancora qualcosa di vivo dentro di noi in grado di godere della vittoria?

È adesso il momento di recuperarci e chissà che quella parte che recuperiamo sia anche l’arma più potente per vincere.

Sophia Molitor

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