Storia

I Martiri di Belfiore: la ferocia della repressione austriaca in Lombardia

Un regime ferocemente poliziesco che soffocava qualunque manifestazione di italianità

La presenza militare austriaca nel nord Italia, che garantiva l’”ordine” imposto da Vienna al vicereame Lombardo-Veneto, poggiava su quattro città fortificate che costituivano il cosiddetto “quadrilatero”, ossia Peschiera, Verona, Legnago e Mantova. Quest’ultima in particolare, vide consumarsi uno dei più tragici episodi del Risorgimento.

Il periodo in cui si inquadrano gli avvenimenti di cui andremo a parlare, è quello successivo alla fine di quel biennio 1848-’49 che vide il fallimento delle iniziative insurrezionali (Cinque Giornate di Milano, Repubblica Romana, ecc.), e della Prima Guerra di Indipendenza. Nonostante il fallimento però, i patrioti italiani andarono avanti e crearono una rete cospirativa clandestina legata al movimento repubblicano di Mazzini, che aveva lo scopo di suscitare una nuova iniziativa popolare.

Martiri di BelfioreDi contro, dopo il fallimento di quella guerra che aveva visto molti volontari provenienti dalla Lombardia e dal Veneto arruolarsi presso le fila dell’esercito sabaudo, i modi repressivi del governo austriaco (personificato nel feldmaresciallo Radetszky) nelle province italiane dell’impero si fecero se possibile ancora più duri: impiccagioni e fucilazioni non si contarono, così come i provvedimenti punitivi sia a danno di singoli cittadini (condanne detentive e requisizioni di beni), sia a carico delle comunità (pesanti imposte e tributi straordinari).

Ovviamente in un tale contesto il malcontento crebbe in tutte le città ed anche Mantova vide la nascita di un comitato insurrezionale.

Il 1° gennaio del 1852 la polizia austriaca trovò dei documenti compromettenti nella casa di un certo Luigi Pesci, esattore del comune di Castiglione delle Stiviere (nell’alto mantovano), membro di uno dei citati comitati insurrezionali. Sottoposto ad un interrogatorio portato avanti con metodi alquanto brutali, il Pesci fornì alle autorità di polizia le informazioni che permisero di arrivare ad Enrico Tazzoli, un sacerdote a capo del comitato insurrezionale mantovano; il 27 gennaio Tazzoli fu arrestato e gli furono sequestrati importanti documenti che riportavano in codice i nomi degli affiliati alla sezione.

La polizia austriaca riuscì a decifrare il registro dei nomi, ed ebbe così inizio la feroce repressione. Furono arrestati 110 patrioti, i quali vennero rinchiusi e sottoposti a torture fisiche e morali; il 13 novembre si riunì il tribunale che decretò le condanne per gli imputati, alcuni condannati a pene detentive, mentre altri vennero mandati a morte.

La mattina del 7 dicembre 1852 presso la valletta di Belfiore, appena fuori Mantova, furono impiccati i primi cinque imputati, tra i quali il Tazzoli che fu prima ridotto allo stato laicale (con l’approvazione del papa Pio IX) così come agli altri prelati coinvolti, non potendo le autorità secolari eseguire la condanna a morte per un uomo di chiesa; nei mesi successivi, altri condannati vennero impiccati, tra i quali Tito Speri (il 3 marzo del 1853), ovvero colui che aveva guidato la rivolta che nel 1849 a Brescia diede vita alle Dieci Giornate (si veda il relativo articolo un questa rubrica).

Condanne ed esecuzioni continuarono per altri due anni, fino al luglio del 1855 quando fu impiccato l’ultimo martire. Come segno di massimo spregio per le vittime, le autorità austriache vietarono che i corpi venissero seppelliti in terra consacrata; fu solo con l’annessione di Mantova al Regno d’Italia nel 1866 che ai resti dei patrioti fu data cristiana sepoltura.

Alcuni degli uomini implicati nell’attività cospirativa riuscirono a fuggire sottraendosi all’arresto, e molti di loro andarono poi ad ingrossare le fila garibaldine durante la spedizione dei Mille.

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Marco Ammendola

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Marco Amendola

Anche se faccio tutt'altro lavoro, sono da sempre appassionato di storia, un romanzo talmente avvincente che non necessita di un finale a sorpresa

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