Il sacrificio dei Fratelli Bandiera: la via rivoluzionaria all’Unità

Il martirio dei due famosi patrioti ed il fallimento della strategia mazziniana

Il Risorgimento Italiano ha avuto molte fasi, e a tutt’oggi gli storici non sono concordi nell’attribuire delle date che segnino in assoluto l’inizio e al fine di questo periodo della storia d’Italia. Verrebbe da dire che il 1848, con le sue rivoluzioni e la Prima Guerra d’Indipendenza, possa rappresentarne l’inizio di questa fase, ma in realtà anche i moti del 1820-’21 potrebbero essere inquadrati nel contesto risorgimentale; alcuni si spingono ancora più indietro nel tempo fino alla guerra che il re di Napoli Gioacchino Murat fece all’Austria nel 1815, ed altri ancora alla nascita delle repubbliche sorelle (della Francia) nate nella penisola in epoca rivoluzionaria. E anche sulla conclusione del Risorgimento i pareri sono discordanti: si va dalla Terza Guerra di Indipendenza (1866), alla presa di Roma (1870), fino alla vittoriosa conclusione della Prima guerra Mondiale nel 1918. Comunque il Risorgimento fu un periodo molto lungo della nostra storia e, per forza di cose, gli episodi di cui è costellato furono molti e non sempre felici. Uno di questi, uno dei più tristemente famosi, è stato quello ha avuto per protagonisti due tra i più noti martiri del Risorgimento, ovvero i Fratelli Bandiera.

Attilio ed Emilio Bandiera (nati rispettivamente nel 1810 e nel 1819), erano due veneziani figli di un ammiraglio della marina dell’Impero d’Austria, anch’essi ufficiali della stessa marina (allora Venezia era ovviamente austriaca); e proprio in questo ambiente, dove le grandi tradizioni della marina veneziana risvegliavano il ricordo delle passate glorie italiane, i due fratelli maturarono i loro ideali. Il continuo viaggiare ed il conseguente contatto con le genti delle altre nazioni, alimentava poi il desiderio di una patria italiana e il sentimento di appartenenza ad essa. Aderirono quindi alle idee mazziniane e nel 1840 fondarono una loro società segreta che si batteva per l’indipendenza e l’unità d’Italia, e che divenne una sezione della Giovine Italia di Mazzini; a tale società diedero il nome di Esperia, ovvero il termine con cui gli antichi greci indicavano l’occidente e l’Italia in particolare. In breve tempo l’Esperia si diffuse nella marina austriaca facendo numerosi aderenti, e la cosa non sfuggì al governo austriaco, tanto che ai due fratelli, che si trovavano in servizio nel Mediterraneo orientale, fu ordinato di rientrare a Venezia. I due decisero quindi di abbandonare le loro unità e di rifugiarsi a Corfù, da dove seppero di sommosse popolari scoppiate in Calabria (allora territorio del Regno delle Due Sicilie). Unitamente ad altri patrioti esuli (principalmente romagnoli sfuggiti alle persecuzioni), partirono alla volta delle coste calabresi; erano 21 persone in tutto. Il 16 giugno del 1844 l’imbarcazione che trasportava il gruppo di patrioti approdò sulla foce del fiume Neto, poco distante da Crotone. Il gruppo si incamminò nottetempo in direzione di Cosenza, dove sarebbe dovuta essere in corso una sommossa popolare che in realtà seppero essere già stata stroncata da giorni; decisero di continuare comunque il cammino per giungere nella città calabrese e risvegliare il moto insurrezionale liberando detenuti e prigionieri politici dalle carceri. Strada facendo però, il gruppo si accorse che mancava una persona all’appello, un certo Pietro Boccheciampe, il quale tradì e si reco a Crotone per denunciare i compagni alla polizia borbonica. Nella notte del 19 la colonna si imbatté quindi in una squadra di gendarmi e di popolani inferociti che li assalirono, convinti dalle autorità e dai baroni del luogo che si trattasse di pericolosi briganti; dopo uno scontro a fuoco che vide i componenti la colonna essere sopraffatti, i patrioti furono catturati, derubati e percossi, per poi essere condotti a Crotone in catene. Il processo a loro carico si concluse il 23 luglio con la condanna a morte, che per alcuni venne commutata in ergastolo; nove patrioti vennero fucilati, tra i quali i due fratelli Bandiera. La sentenza venne eseguita nei pressi di Cosenza il 25 luglio 1844.

La fallita iniziativa insurrezionale servì di certo a rendere noto all’Europa e al modo che in Italia vi erano uomini disposti a rischiare e a morire per l’ideale di unità e indipendenza, ma il suo fallimento dimostrò, come in altri dolorosi episodi, come la via rivoluzionaria di stampo mazziniano per l’Unità fosse destinata all’insuccesso. Lo scopo della spedizione, come di molte altre precedenti e successive, era quello di infiammare la popolazione dietro l’esempio trascinante dei patrioti; ma le plebi rimanevano inerti e spesso, come in questa occasione, erano addirittura ostili, sobillate dall’autorità clericale e dai benestanti locali, che di certo non vedevano di buon occhio iniziative rivoluzionarie che avrebbero potuto mettere in discussione le loro posizioni di privilegio.

Purtroppo altri patrioti italiani avranno sorte simile (Ciro Menotti e Carlo Pisacane tanto per citarne qualcuno), fino a quando l’iniziativa rivoluzionaria cederà il posto a quella liberale moderata, che vedrà nel Conte di Cavour il suo più importante esponente; la piazza e le rivolte  saranno quindi sostituite dalle trattative diplomatiche e dalle guerre combattute dagli eserciti regolari sui campi di battaglia, fino a quando lo sforzo e il sacrificio di tutti, rivoluzionari e moderati, troverà il suo compimento nella nascita dell’Italia unita e indipendente.

Marco Ammendola

Exit mobile version
Vai alla barra degli strumenti