Storia

La Donazione di Costantino ed il potere temporale della Chiesa: un falso clamoroso

La falsa giustificazione di un potere arbitrario ed illegittimo durato quindici secoli

L’esistenza del potere temporale della Chiesa, ossia il fatto che il Papa fosse sovrano dello Stato Pontificio oltre che governatore di anime, ha permesso ai pontefici di governare su un regno terreno fino al 1870 (quando con la famosa breccia di Porta Pia, Roma fu annessa al nuovo Regno d’Italia divenendone capitale). Bene, la Chiesa ha sempre addotto a giustificazione del potere terreno un documento col quale si dimostrava la legittimità di tale potere che fu concesso al papa dall’imperatore Costantino I; il pontefice che per primo poté godere di una tale concessione fu Silvestro I nell’anno del Signore 315 d.C. E fin qui tutto regolare, o almeno sembrerebbe… Già, perché verso la metà del quindicesimo secolo qualcuno decise di prendere in mano quel documento ad analizzarne forma e contenuto, scoprendo che in quello scritto qualcosa (in verità ben più di qualcosa) non quadrava. Vediamo nel dettaglio.

Come sopra accennato, il documento in questione è la cosiddetta Donazione di Costantino, la riproduzione di un editto imperiale risalente all’anno 315 d.C. col quale l’Imperatore Costantino I avrebbe concesso a papa Silvestro I ed a i suoi successori il primato sui cinque patriarcati (Roma, Costantinopoli, Antiochia, Gerusalemme ed Alessandria d’Egitto), nonché la sovranità su Roma, l’Italia e l’Occidente. Il tutto come ricompensa al pontefice per aver guarito l’imperatore dalla lebbra grazie ad un miracolo.

“In considerazione del fatto che il nostro potere imperiale è terreno, noi decretiamo che si debba venerare ed onorare la nostra santissima Chiesa Romana e che il Sacro Vescovado del santo Pietro debba essere gloriosamente esaltato sopra il nostro Impero e trono terreno. Il vescovo di Roma deve regnare sopra le quattro principali sedi Antiochia, Alessandria, Costantinopoli e Gerusalemme e sopra tutte le chiese di Dio nel mondo. Finalmente noi doniamo a Silvestro, papa universale, il nostro palazzo e tutte le province, palazzi e distretti della città di Roma e dell’Italia e delle regioni occidentali”.

Insomma, l’imperiale gratitudine fu dimostrata in maniera generosa ed inequivocabile, e permise alla Chiesa di far valere per secoli il proprio diritto a regnare sull’Occidente, così tanto ad occidente che la Donazione fu tirata in ballo anche da papa Alessandro VI nel 1493, quando pretese di avere voce in capitolo nella disputa tra Spagna e Portogallo riguardo la spartizione del Nuovo Mondo; in questo caso però il concetto di occidente fu preso dal pontefice un po’ troppo alla larga, dato che ai tempi di Costantino I ben difficilmente si sarebbe potuto fare riferimento ad un continente di cui non si sospettava nemmeno dell’esistenza. E vabbè, largheggiamo…

Nel 1440 però accadde che uno studioso italiano di nome Lorenzo Valla (1405-1457) decise di prendere in mano la Donazione ed analizzarla in veste di filologo (la filologia è la disciplina che studia i testi letterari al fine di ricostruirne la forma originaria). Valla si accorse che quel documento conteneva un gran numero di contraddizioni e perfino di anacronismi (come ad esempio il riferimento a Costantinopoli, città fondata nel 330 d.C., in un documento redatto nel 315 d.C., ossia quindici anni prima della fondazione della città stessa), nonché il fatto che il latino col quale il testo era riprodotto non potesse assolutamente essere quello in uso ai tempi di Costantino, ma era decisamente più recente dati gli elementi barbari un esso contenuti. Il lavoro di Valla fu pubblicato per la prima volta nel 1517 col titolo di “Discorso sulla Donazione di Costantino, contraffatta e falsamente ritenuta vera”, ed in esso vi si affermava che il documento era stato redatto nell’ VIII° secolo d.C. dalla cancelleria pontificia stessa, ossia ben quattro secoli dopo Costantino I. Giusto per la cronaca, nel 1559 lo scritto del Valla fu incluso nell’indice dei libri proibiti, ossia l’elenco delle opere vietate dalla Chiesa (soppresso solo nel 1966!), comprendenti lavori di Dante, Boccaccio, Ariosto, Machiavelli, Erasmo da Rotterdam, Dumas padre e figlio, Hugo, Montesquieu, Voltaire, Kant, Alfieri, Beccaria, Croce, D’Annunzio, Foscolo, Copernico, Galilei, Gentile, Guicciardini, Bruno, Gioberti, Leopardi… Ovviamente, il Discorso del Valla ebbe invece grande seguito in ambiente protestante.

Comprensibile che la Chiesa abbia messo alla gogna il testo del Valla, dato che lo studioso italiano aveva dimostrato senza possibilità di dubbio alcuno che il potere temporale, ossia l’esistenza di un regno terreno governato dai papi, nonché la pretesa del primato papale su quello imperiale (si pensi alla secolare lotta tra papato ed Impero in epoca alto medievale sulla questione delle investiture), erano giustificate da un documento assolutamente falso, un vero e proprio imbroglio creato ad arte per dare alla Chiesa un potere che non le spettava.

Bisogna poi precisare che, prescindendo dalle questioni sull’originalità del documento, la Donazione ha sempre sollevato forti dubbi di validità giuridica, dato che per le leggi romane il titolo di imperatore assegnava a chi lo deteneva il compito di accrescere l’Impero; per tale ragione l’atto di Costantino, determinando una diminuzione dell’estensione dell’Impero dovuta alla cessione di una parte di esso alla Chiesa, violava le prescrizioni imposte dalla legge al detentore del titolo imperiale. Tra l’altro, il precedente di aver provocato una diminuzione della giurisdizione imperiale, ammetteva la possibilità di ulteriori diminuzioni, che portate avanti una dopo l’altra avrebbero potuto ridurre tale giurisdizione a zero, il che sarebbe stato illogico.

Anche Dante, ovviamente molto prima di Valla, aveva affrontato l’argomento nel De Monarchia (premettiamo però che il Poeta non nutriva alcun dubbio sull’autenticità della Donazione, semplicemente ne contestava la validità giuridica e morale), sottolineando come non fosse lecito per un imperatore recare danno all’Impero alienandone una parte, compiendo così un atto d’ufficio contrario all’ufficio stesso. Né, sempre secondo Dante, la Chiesa aveva facoltà di accettare il dono imperiale, essendo tale gesto esplicitamente contrario al precetto neotestamentario che le imponeva di non possedere alcunché di temporale e di vivere nel rispetto dell’obbligo alla povertà.

In conclusione, la pretesa dei papi di aver ricevuto in dono quei beni terreni, potendone quindi esercitare il governo sottratto illegalmente alla giurisdizione imperiale, ha fornito alla Chiesa quel potere temporale al quale non ha mai avuto diritto.

Marco Ammendola

Immagine: l’imperatore Costantino I offre a papa Silvestro I la tiara imperiale, simbolo del potere temporale (oratorio di San Silvestro, Roma)

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Marco Amendola

Anche se faccio tutt'altro lavoro, sono da sempre appassionato di storia, un romanzo talmente avvincente che non necessita di un finale a sorpresa
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