Storia

Messina, dicembre 1908: una città devastata da un terremoto apocalittico

In Italia il più grave evento sismico dell’Europa moderna

L’Italia, si sa, è un territorio ad elevato rischio sismico e andando indietro nel tempo si incontrano diversi terremoti che hanno lasciato il segno sia in senso fisico sugli abitati colpiti, sia nella memoria collettiva: Marsica (1915), Irpinia (1980), L’Aquila (2009), Emilia (2012) e Amatrice (2016), tanto per citarne alcuni. Tra questi, il più drammatico, uno dei più catastrofici nella storia d’Italia e d’Europa, è stato senz’altro il terremoto di Messina del 1908.

E’ la mattina del 28 dicembre quando la città di Messina e buona parte della Calabria vengono colpite da un tremendo sisma del decimo grado della scala Mercalli (che di gradi ne conta dodici), ed approssimativamente 7,2 della scala Richter; l’epicentro era proprio nello stretto di Scilla e Cariddi, ma le scosse vennero avvertite fino a Napoli e Campobasso e persino in Albania e Grecia. Durante quei trentasette interminabili secondi il 90% di Messina venne completamente rasa al suolo (di tutte le case ne rimasero illese solamente due), e le cifre delle vittime sono agghiaccianti, alcune di esse arrivando a più di ottantamila, ovvero rimase uccisa quasi la metà della popolazione messinese; la città, nota per essere una delle più belle della Sicilia, nonché sede di un notevole fermento culturale ed intellettuale e di un dinamico sviluppo economico, fu trasformata in una città fantasma e interi quartieri divennero dei veri e propri cimiteri a cielo aperto. Oltre alle abitazioni, furono completamente distrutti il palazzo municipale, la stazione ferroviaria, l’ospedale (di duecento tra pazienti, medici ed infermieri, se ne salvarono solo undici) e il magnifico duomo barocco. A peggiorare la situazione arrivò anche un violento maremoto che con le sue onde, che raggiunsero i dodici metri di altezza, devastò la costa dello stretto sia dal lato siciliano che da quello calabrese, causando circa duemila del totale delle vittime, molte delle quali si erano dirette verso la spiaggia proprio per trovare scampo dal terremoto.

Nel frattempo a Roma stavano arrivando telegrammi da Catania, Palermo e Catanzaro che parlavano di lievi scosse di terremoto, con danni abbastanza limitati. Ma quando le autorità della capitale notarono che dalle sole Messina e Reggio Calabria non arrivava alcuna notizia, realizzarono che doveva essere successo qualcosa di terribile. La conferma ci fu alle 17:25, quando una torpediniera della Regia Marina partita da Messina riuscì a trovare la prima località della costa calabra in cui il telegrafo fosse ancora funzionante, facendo così sapere all’Italia e al mondo quanto fosse accaduto. Presidente del Consiglio era allora Giovanni Giolitti, il quale una volta informato dell’accaduto convocò il Consiglio dei Ministri, nell’unica seduta notturna di tutta la sua carriera di governo; furono decisi il concentramento nelle zone colpite di tutte le truppe disponibili, e l’invio a Messina di una divisione navale. Il re Vittorio Emanuele III firmò lo stato d’assedio per Reggio e Messina (dando quindi pieni poteri ai militari per la gestione dell’emergenza) e partì per le zone colpite, accompagnato dalla regina Elena.

Tutta l’Italia si mobilitò per i soccorsi, che arrivarono anche dall’estero: i primi a giungere a Messina furono i marinai di una squadra navale russa che erano alla fonda nel porto di Augusta, e poco dopo arrivarono unità inglesi, tedesche, francesi, spagnole, greche, e danesi; in pochi giorni il porto messinese fu affollato da centinaia di navi che trasportavano i volontari e i materiali per soccorrere la popolazione e cercare di estrarre dalle macerie i pochi rimasti vivi. Il presidente degli Stati Uniti Theodore Roosvelt convocò d’urgenza il Congresso, che votò all’unanimità uno stanziamento straordinario e l’invio di sedici unità della flotta; l’imperatore di Germania, il Kaiser Guglielmo, inviò viveri e casette prefabbricate per la popolazione colpita, mentre le autorità svizzere inviarono 21 chalet alpini. Vi fu una vera e propria gara internazionale di solidarietà, in cui si distinsero i marinai russi, ai quali è oggi dedicata una via nella città di Messina. Il re rivolse parole di elogio sia ai soldati e marinai italiani che a quelli stranieri che si prodigarono nei soccorsi, mentre la regina Elena si distinse per il suo impegno nel portare soccorso ai feriti; un ufficiale russo raccontò: “L’ho vista ovunque, nei punti in cui maggiore era il pericolo, nelle località in cui nessuno prima di lei aveva osato avventurarsi”.

Nel clima di solidarietà internazionale, che vide le nazioni d’Europa andare in soccorso dell’Italia ferita, solo in Austria-Ungheria qualcuno suggerì di approfittare del momento di grave crisi e debolezza causati dal terremoto, per aggredire l’Italia con una guerra preventiva, che fortunatamente non ci fu (avremmo poi regolato i conti qualche anno dopo sul Piave).

Naturalmente furono colpiti anche molti centri minori sia in Sicilia che in Calabria: nel complesso si registrarono danni di varia entità in 170 comuni, in 38 dei quali furono colpiti più del 50% del totale degli edifici; se poi si considerano anche i danni di entità minima, il conto delle località colpite fu di più di 400. Giuseppe Mercalli, l’ideatore della scala sismica che porta il suo nome, visitò personalmente le zone colpite e fu proprio di fronte alla dimensione apocalittica delle distruzioni che aggiunse il grado XI, quello definito come “catastrofe”. La violenza del sisma e del maremoto furono tali da cambiare la conformazione delle coste, modificate per sempre dalle numerose frane e smottamenti.

Tra i testimoni oculari famosi del disastro vi era il futuro deputato Gaetano Salvemini, che in quella tragedia perse la moglie, i cinque figli ed una sorella, così come testimone di quei tragici avvenimenti vi fu anche il futuro Nobel per la letteratura Salvatore Quasimodo, il cui padre era un dipendente delle ferrovie che si recò sul luogo assieme alla famiglia per partecipare alle operazioni di ripristino delle linee ferroviarie.

Marco Ammendola

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Marco Amendola

Anche se faccio tutt'altro lavoro, sono da sempre appassionato di storia, un romanzo talmente avvincente che non necessita di un finale a sorpresa

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