Cronaca

Paolo Borsellino ucciso dallo Stato malato e connivente

Le motivazioni della sentenza del 'Borsellino quater' non lasciano adito a dubbi: ci fu chi depistò

A leggere le motivazioni della sentenza del processo ‘Borsellino quater’, c’è di che sentirsi male. Affermazioni rivoltanti per qualsiasi uomo onesto dalle quali si deduce inequivocabilmente che a volere la morte del magistrato antimafia furono apparati malati dello Stato: quello Stato che lui difese fino all’estremo sacrificio, un sacrificio che venne ricambiato col tritolo e con il confezionamento di pentiti che, al pari di un juke-box, cantavano la canzone preferita da chi ha cercato di depistare le indagini: morti e viventi che siano. I giudici di Caltanissetta non hanno dubbi: quello sul caso Borsellino è “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”.

Figura-simbolo dei pentiti fasulli è quella di Vincenzo Scarantino, indotto a mentire sin dall’inizio delle prime fasi processuali ed in libertà a fronte di quell’abominio che si chiama prescrizione, data dal fatto che venne indotto a mentire da terzi. Al momento, gli unici colpevoli rispondono ai nomi di Salvo Madonia e Vincenzo Tutino condannati alll’ergastolo. Oltre loro, Francesco Andriotta e Calogero Pulci, falsi pentiti condannati a dieci anni.

A causa dei depistaggi, in un primo momento erano state condannate all’ergastolo sette persone risultate poi innocenti e quindi scagionate nel corso del processo di revisione.

A depistare le indagini fu “un proposito criminoso determinato essenzialmente dall’attività degli investigatori, che esercitarono in modo distorto i loro poteri”. In altri termini, apparati dello Stato malati la cui massima espressione fu Arnaldo La Barbera, oggi deceduto, all’epoca dei fatti coordinatore dell’inchiesta. In base a quanto stabilito dalla sentenza, La Barbera svolse un ruolo fondamentale nel depistaggio, addomesticando i collaboratori di giustizia.

La Barbera, qualora fosse ancora vivo, dovrebbe spiegare qualcosa in merito all’agenda rossa di Borsellino, sparita nel nulla il giorno dell’attentato e per certa nelle mani del magistrato. Secondo i giudici infatti, La Barbera sarebbe stato “intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda rossa, come è evidenziato dalla sua reazione, connotata da una inaudita aggressività, nei confronti di Lucia Borsellino, impegnata in una coraggiosa opera di ricerca della verità sulla morte del padre”.

L’agenda di Borsellino, secondo quanto affermato dai giudici, “conteneva una serie di appunti di fondamentale rilevanza per la ricostruzione dell’attività da lui svolta nell’ultimo periodo della sua vita, dedicato ad una serie di indagini di estrema delicatezza e alla ricerca della verità sulla strage di Capaci”.

Le motivazioni della sentenza spiegano che alla base del depistaggio potrebbe essere stato dato dalla volontà di “occultamento della responsabilità per la strage di via D’Amelio, nel quadro di una convergenza di interessi tra Cosa nostra e altri centri di potere” preoccupati dall’azione investigativa di Borsellino. A corroborare questa linea, le parole del collaboratore di Giustizia, Antonino Giuffrè “che ha riferito che prima di passare all’attuazione della strategia stragista erano stati effettuati ‘sondaggi’ con ‘persone importanti’ appartenenti al mondo economico e politico”. Sondaggi che “si fondavano sulla ‘pericolosità’ di determinati soggetti non solo per l’organizzazione mafiosa ma anche per i suoi legami con ambienti imprenditoriali e politici interessati a convivere e a ‘fare affari’ con essa”.

E se di Stato malato si parla, il funzionario della Polizia di Stato, Mario Bo e gli agenti Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, sono stati rinviati a giudizio con l’accusa di calunnia in concorso. Per quanto riguarda Bo, era già finito sotto inchieste per i fatti e successivamente, la sua posizione venne archiviata. Era componente del gruppo investigativo che si occupava delle indagini sulla strage di Via d’Amelio, unitamente a Ribaudo e Matttei. Sarebbero stati loro a creare una versione investigativa dell’attentato nella sua fase preparatoria ed addomesticare Scarantino nel fare nomi di persone risultate innocenti. A coordinarli, sarebbe stato il loro diretto superiore, La Barbera.

C’ è da augurarsi che le posizioni dei tre siano, prove alla mano, estranee ai fatti. Diversamente, ci sarebbe da chiedersi se dal 1992 ad oggi, le cose siano migliorate.

Antonio Marino

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Antonio Marino

Cinquantunenne ma con lo spirito da eterno ragazzo. Adoro la compagnia degli amici con la 'A' maiuscola, la buona tavola e le buone birre. Appassionato di politica ma quella con la 'P' maiuscola, sposato più che felicemente. Difetti: sono pignolo. Pregi: sono pignolo
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