Storia

Roma, maggio 1527: la Città Eterna messa al sacco da un’orda di mercenari

La divisione tra italiani permette ai tedeschi di fare scempio di Roma e di gran parte dell’Italia

Nell’articolo su Giovanni dalle Bande Nere abbiamo conosciuto le gesta di questo grande condottiero italiano, ed abbiamo visto come egli cadde sul campo (30 novembre 1526) battendosi contro i tedeschi dell’imperatore Carlo V; questi aveva inviato in Italia un esercito con l’obiettivo di calare su Roma (il papa Clemente VII era alleato dei francesi nemici dell’Impero), e l’eroico cavaliere della dinastia dei Medici morì proprio nel tentativo di fermare la spedizione nemica. L’esercito imperiale era costituito dai lanzichenecchi, quei temutissimi soldati mercenari che terrorizzavano l’Europa, che calarono in Italia per riempirsi le tasche del ricco bottino che la penisola prometteva (abbiamo dedicato un articolo a descrivere nel dettaglio caratteristiche e tattica di combattimento di questi mercenari tedeschi); a comandarli era il capitano Georg von Frundsberg. Come sappiamo il sacrificio di Giovanni dalle Bande nere fu vano e i lanzichenecchi dell’imperatore proseguirono la loro marcia da invasori.

Una volta tolto di mezzo il pericoloso condottiero italiano, che fino alla sua morte aveva dato parecchio filo da torcere ai tedeschi, il Frundsberg (luterano convinto) si diresse quindi verso Roma deciso a prendere la città, ed avendo l’intento dichiarato di catturare il pontefice e impiccarlo; si dice che addirittura tenesse un cappio d’oro appeso all’arcione (la parte arcuata della sella) pronto ad essere usato allo scopo. Cominciò quindi la calata dei 12.000 lanzichenecchi imperiali, scarsamente contrastati dalle truppe degli stati italiani alleati del papa che erano divisi nella strategia e privi di una visione d’insieme della campagna: tanto per cambiare, ognuno pensava più a difendere i propri territori ed interessi anziché impegnarsi in una vera coalizione con obiettivi comuni e nell’interesse generale, che poi altro non era che impedire che un’orda di mercenari stranieri scorrazzasse per la penisola devastandola a danno di tutti.

La marcia dei tedeschi quindi proseguì, anche se con grosse difficoltà dovute agli approvvigionamenti resi difficili dagli scarsi collegamenti in un territorio ostile; ma l’esercito del Frundsberg venne rafforzato da un contingente di imperiali spagnoli (ricordiamo che Carlo V era contemporaneamente sovrano del Sacro Romano Impero e re di Spagna) in numero di 6.000 unità, più alcune aliquote di mercenari italiani degli stati ostili al papa, e da alcuni mercenari della coalizione anti-imperiale che non erano stati pagati, per cui decisero di unirsi alla spedizione imperiale attratti dalla speranza di saccheggio. Accadde poi che tra le truppe dell’imperatore vi furono degli episodi di ribellione, dato che quei soldati mercenari non ricevevano la paga da mesi; durante un tentativo di placare gli animi, il Frundsberg ebbe un malore ed il comando venne assunto da Carlo di Borbone, il comandante del contingente spagnolo. Il Borbone promise ai soldati che avrebbero potuto rifarsi del mancato pagamento del soldo con il saccheggio del territorio italiano, e fu così che le truppe imperiali rientrarono nei ranghi e ripresero la marcia verso Roma (che disponeva per la difesa di 4.000 uomini e 189 guardie svizzere a protezione della persona del papa), che fu raggiunta i primi di maggio del 1527.

Giunti sotto le mura della città, gli imperiali iniziarono l’attacco il giorno 6 in direzione del Gianicolo, dove Carlo di Borbone fu colpito da un colpo di archibugio mentre guidava un assalto; morirà poche ore dopo ed il suo posto di comandante verrà preso dal principe d’Orange. Intanto si rinnovò l’assalto in direzione di Porta Torrione e Porta Santo Spirito, dove i lanzichenecchi riuscirono a superare le mura; nel frattempo gli spagnoli riuscirono a penetrare in città, dopo aver individuato una finestra scarsamente occultata presso un palazzo posto a ridosso delle mura, e si diressero in direzione di San Pietro. Il papa fuggì verso Castel Sant’Angelo protetto da 189 guardie svizzere, che si sacrificarono venendo tutte uccise per permettere al pontefice di mettersi in salvo. Ora, sguinzagliati all’intero della città, i soldati imperiali (in gran parte luterani che avevano in odio la Chiesa Cattolica) si scatenarono mettendo in campo una ferocia bestiale la cui eco rimarrà indelebile nella storia fino ai giorni nostri.

Quasi tutte le chiese di Roma furono profanate, arredi sacri furono distrutti, tesori rubati e sacre reliquie furono depredate; venne perfino profanata la salma di Giulio II dalla quale vennero rubati i gioielli; i danni al patrimonio artistico della Roma rinascimentale furono incalcolabili.

Le violenze sugli abitanti furono raccapriccianti e molte donne furono violentate sotto gli sguardi impotenti di genitori e mariti, e con esse una gran quantità di monache; nel volgere di poche ore le strade della città furono ricoperte di cadaveri ed il fetore dei corpi in decomposizione cominciò ad ammorbare l’aria rendendola irrespirabile.

Intanto Clemente VII riuscì a fuggire rocambolescamente: il 5 giugno si arrese agli occupanti, fu imprigionato e costretto a pagare una forte somma per il suo rilascio; il giorno 7 però, fu liberato da alcuni cavalieri dell’esercito pontificio e, travestito da popolano, riuscì a raggiungere Orvieto.

Il saccheggio della Città Eterna continuò per una settimana, fino a quando tutto il rubabile era stato preso; l’occupazione da parte dei soldati imperiali finirà solamente dieci mesi dopo, quando Carlo V ne ordinerà il ritiro che avvenne tra il 16 ed il 18 di febbraio del 1528. Il papa vi farà ritorno solamente il 6 ottobre dello stesso anno.

Prima di questo raccapricciante saccheggio, Roma contava circa 55.000 abitanti; al termine dei mesi dell’orribile scempio da parte dei soldati di Carlo V, in città non si arrivava a 20.000. Tra l’altro, morirono anche molti soldati ammalatisi di peste, malattia che proliferò date le scarse condizioni igieniche della città, aggravate dall’affollamento dovuto alla permanenza dell’esercito occupante.

In conclusione, è senz’altro vero che l’efferatezza e la ferocia dimostrate dai lanzichenecchi e dagli spagnoli (e fa male dirlo ma anche dai mercenari italiani di parte imperiale) fu un esempio di come una soldataglia mercenaria potesse perdere ogni segno di umanità se lasciata senza comandanti (ricordiamo che Frundsberg e Carlo di Borbone non erano più presenti dopo l’ingresso delle truppe imperiali a Roma); ma è altrettanto vero che se l’esercito imperiale riuscì a raggiungere la città, fu solamente perché gli stati italiani, litigiosi e divisi, intenti a curarsi ognuno del proprio particolare, non seppero mettere in campo una coalizione militare che potesse fermare l’avanzata delle schiere imperiali. Se gli italiani avessero accantonato i particolarismi locali ed avessero fatto muro contro l’invasore, il brutale saccheggio, lo scempio, e l’oltraggio della Città Eterna non avrebbero mai avuto luogo. Ed il tragico esempio del sacco di Roma del 1527 non servirà da lezione: gli italiani continueranno a rimanere divisi, con tutto ciò che ne conseguirà nei secoli a venire. Come disse Antonio Gramsci “la storia è maestra, ma non ha scolari”.

Marco Ammendola

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Marco Amendola

Anche se faccio tutt'altro lavoro, sono da sempre appassionato di storia, un romanzo talmente avvincente che non necessita di un finale a sorpresa
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