Sperimentato un nuovo approccio terapeutico con cellule staminali sul fegato di tre neonati

Le cellule staminali epatiche sane sono state iniettate nel fegato, dopo la nascita. In questo modo si potrà ritardare il trapianto di cui i piccoli pazienti hanno bisogno

Cellule staminali epatiche sane, iniettate dopo la nascita nel fegato di tre neonati affetti da patologie genetiche. Ecco la nuova procedura – sperimentata alla Città della Salute di Torino – che ha permesso a tre piccoli pazienti di ritardare il trapianto d’organo di cui avranno bisogno nei primi mesi della loro vita, di almeno un anno.

Lo studio che ha messo a punto la procedura è frutto della collaborazione tra ospedale Regina Margherita e ospedale Molinette, Centro Interdipartimentale di Ricerca per le Biotecnologie Molecolari dell’Università di Torino (MBC) e azienda biomedicale Unicyte AG. Nello specifico, la sperimentazione clinica è stata condotta al Regina Margherita da Marco Spada, direttore della Pediatria e del Centro Regionale per la cura delle malattie metaboliche del Regina Margherita, coadiuvato da Francesco Porta.

Renato Romagnoli, direttore del Centro Trapianti di Fegato delle Molinette, e Dorico Righi, direttore della Radiologia dell’ospedale Molinette, hanno avuto ruolo clinico primario in qualità di co-sperimentatori in questo studio pionieristico. Di fondamentale importanza anche l’apporto del Laboratorio del Centro Trapianti di Cellule staminali e Terapia Cellulare del Regina Margherita, diretto da Franca Fagioli, e del Centro di Coordinamento Trapianti, diretto da Antonio Amoroso.

La terapia sperimentale è stata possibile grazie alle ricerche sulle cellule staminali epatiche condotte dal gruppo di Giovanni Camussi del Dipartimento di Scienze Mediche dell’Università di Torino con il Centro di Biotecnologie Molecolari dell’Università di Torino ha reso possibile questa terapia sperimentale. Questa procedura innovativa pone le basi scientifiche per la possibile correzione definitiva di diverse malattie genetico-metaboliche con procedura mini-invasiva. 

Beatrice Spreafico

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