Speciale Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne

Violenza sulle donne: gli effetti della legge contro il femminicidio

Spesso le denunce delle vittime hanno prodotto scarsi risultati

Non tutti sanno che il 25 novembre del 1960, nella Repubblica Dominicana guidata dal dittatore Trujillo, tre sorelle persero tragicamente la vita – dopo aver subito inenarrabili torture – perché ritenute sovversive.

Risale al 1999, la decisione dell’Onu di istituzionalizzare la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne, individuandola proprio nel 25 novembre, ma solo recentemente nel nostro paese si è cominciato a parlare con frequenza di “femminicidio” e nel 2013 l’ordinamento giuridico italiano, con d.l. n.93, poi convertito nella legge n.119 del 15 ottobre, ha approntato un sistema di prevenzione di tale, agghiacciante fenomeno.

Questo termine pare non faccia riferimento unicamente all’uccisione di una donna, ma comprenda qualsivoglia forma di violenza perpetrata con sistematicità nei confronti di una femmina da parte di un uomo, allo scopo di comprimerne la libertà, anche di pensiero, fino ad annientarla, in nome della convinzione arcaica secondo la quale il maschio si trovi in una posizione di superiorità.

Quello appena esposto è un significato ben più ampio di quello ad esso quotidianamente attribuito, atteso che dal punto di vista squisitamente giuridico, invece, il femminicidio identifica l’omicidio doloso o preterintenzionale per motivi basati sul genere.

Ormai assodato è che nella stragrande maggioranza dei casi, l’autore di femminicidio sia molto vicino alla vittima, con cui ha quasi sempre avuto una liaison sentimentale di qualche tipo, così come – duole constatarlo – non è consueto che si tratti di un soggetto pericoloso e con evidenti caratteristiche devianti. Di converso, assai spesso colui che arriva ad uccidere una donna (in quanto donna), è ben inserito nella società, ha un lavoro ed è circondato da conoscenti pronti a scommettere che sia una persona assolutamente normale.

Ed è proprio sulla nozione di normalità che fa perno la campagna del 2018 contro la violenza sulle donne: “Non è normale che sia normale”. Il legislatore, in effetti, cinque anni fa ha dato vita all’intervento normativo in ordine alla prevenzione del femminicidio perché non è più pensabile, nel ventunesimo secolo, che una donna giustifichi determinati atteggiamenti, tacendoli alle Forze dell’Ordine e finendo per rimetterci la vita.

In particolare, sotto il profilo penale, ha assunto rilevanza il legame affettivo esistente tra la vittima e l’offender, a prescindere dalla circostanza che siano sposati o meno. Sono state poi previste aggravanti per la violenza sessuale commessa a danno di donne in stato interessante o verso il coniuge, anche qualora il matrimonio sia stato sciolto. Tra le modifiche apportate, l’arresto obbligatorio in caso di flagranza per ciò che concerne il reato di maltrattamenti in famiglia , nonché misure “precautelari” riguardanti l’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare e il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, con facoltà di monitorare l’aggressore anche con l’uso di apparecchiature elettroniche.

Peccato che, purtroppo, il più delle volte le denunce per maltrattamenti e minacce non abbiano rappresentato un deterrente per l’autore dei reati; le statistiche rivelano, infatti, che il 52% delle vittime assassinate nell’arco dell’anno successivo a quello in cui fu emanata la legge, in passato si era già rivolta alle autorità per ottenere la giusta tutela, ma con scarsi risultati.

Dato, questo, che certamente non conforta, né tanto meno sprona, tutte coloro che non hanno denunciato gli episodi di violenza subiti , o almeno non ancora, per paura del proprio aggressore.

Roberta Romeo

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