Partiamo dal presupposto che Pietro del Re, inviato per gli esteri de «La Repubblica», non ha solo scritto un romanzo: ha raccontato la vita con le voci di chi ha vissuto guerre, rivoluzioni, crisi umanitarie e ambientali. Ha preferito mettersi da parte, Pietro, lasciando spazio a chi è stato testimone di tragedie e di follia, ma anche di generosità e coraggio. Storie che hanno per protagoniste, persone che hanno sconfitto la paura in nome del coraggio di fare la cosa giusta, di stare sempre dalla parte giusta. Avendo viaggiato nei quattro angoli del mondo, Del Re ha conosciuto e dato voce ad ambientalisti che difendono la natura. Proprio lei, che ci vede, ogni giorno, calpestarla, propendere verso origini che non sono le nostre, trattarla con disprezzo ed ergerci a suoi padroni. Mai figlio fu più ingrato. Tant’è vero che l’uomo, nel tendere alla completezza si dimezza sempre di più, nell’abbracciare alla sua ambizione distorta, si illude di poterla violare a suo bieco piacimento. Pietro del Re ci descrive Madre Natura con l’infinito dolore di chi sa che bisogna proteggerla. Lei che sembra pregarci di non distruggerla, che ci ha generato impastati d’amore, ma che non ne ha ottenuto in cambio. Lei che ci donato i nostri simili perché non ci sentissimo mai soli; ecco, dunque, che ci siamo isolati, brandendo i nostri beni contro gli altri, piuttosto che condividerli perché si moltiplicassero.
Il dolore della perdita delle donne e degli uomini che salvano il mondo fanno rumore, dipingono nell’aria pentagrammi di note, fuse tra loro in melodie malinconiche e antiche. La sottotrama del romanzo ci fa capire come-in teoria- nessuno dovrebbe fare del male a nessuno. Ma, nella realtà, l’applicazione di questo concetto è inverosimile. Ed è esattamente per questo che l’uomo e il potere sono due combinazioni pericolose: se è il primo a prendere il controllo, il secondo si ribellerà sempre, vincendo la battaglia più dura: l’ambizione. Insegnamento molto importante che ci trasmette è che non serve uccidere qualcuno materialmente per diventare assassini. Si uccide una cultura, un futuro, un desiderio. Reprimere i sogni per cullarci nella pigrizia ci classifica come il peggiore omicida di ogni epoca. Questo romanzo rappresenta morte e rinascita, nonché la voglia di attaccare senza, però, far del male. Le pagine sembrano palpitare, mentre la speranza vola via, anch’essa un po’ malridotta, anch’essa terrorizzata dalla guerra. E chissà se ha scovato un nascondiglio, e chissà se vi si è rintanata, malnutrita e malconcia, privata del suo compito. La guerra, come si evince dallo stile scorrevole e diretto, è in grado di intrattenere una corrispondenza continua con la morte e, alleandosi con le violenze, incute timore persino alla speranza, che comunque rimane l’ultima arma contro la distruzione. Insomma, Pietro ci regala un’opera di altri tempi, che ha come unico scopo quello di sensibilizzare le persone a rimanere sempre dalla parte giusta.
Carlotta Casolaro