La libertà espressiva dell’arte astratta

L'immensa gioia di trasporre sulla tela la parte più intima di sé

Carissimi Amici, carissime Amiche, ho terminato ora la mia ultima opera astratta e non resisto al desiderio di parteciparvi.

L’arte astratta è spesso, ancora oggi, nonostante l’attenzione riservatale dal XX secolo, argomento controverso.

A prescindere da opinioni culturali, giudizi critici, quotazioni e disquisizioni estetiche, che riferiscono il costante aggiornamento in merito all’andamento del mercato dell’arte o che piacevolmente colmano di chiacchiere i salotti “buoni”, un fatto è inconfutabile: quando un astrattista ha una tela di fronte a sé ed un pensiero in mente, prova una gioia immensa nel realizzarne la trasposizione.

E’ altresì vero – e posso testimoniarlo – il contrario: soffrire nel constatare i limiti – soggettivi o, chissà, forse oggettivi – di tale tipologia espressiva.

Ricordo, con grande commozione, quando il medico di famiglia – pittore astrattista, prematuramente scomparso – cui sono tutt’oggi immensamente grata per avermi introdotta sin dall’adolescenza in questo “mondo magico”, mi disse: “eh, cara Daniela… arriverà il giorno in cui la pittura ti farà soffrire”. Ero troppo giovane per comprendere, ma il concetto mi è rimasto impresso.

A onor del vero, la sensazione di limitazione, talvolta l’avverto anche nello scrivere… Forse è oggettivo che – seppure con rispetto per la soggettività – ogni processo di comunicazione è limitato e limitante.

Un altro aspetto che oggi mi sento di confidarvi, riguarda la mia emotività.

Al termine di un’opera vivo fortemente l’ansia da separazione: io e “lei”… abbiamo concluso il ciclo del “nostro tempo” insieme: un storia d’amore che finisce!

Un abbraccio!

Daniela Cavallini

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