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La Milan Ladies Francesca Ronchi si presenta e ci parla della sua visione di cultura

Semplice, resiliente, riflessiva

Ciao a tutti, sono Francesca, prima di parlavi di cosa sia per me la cultura, vorrei dirvi due -anzi tre- parole su come sono io come persona.

Semplice. Nel senso che amo la semplicità, perché credo che la felicità passi da gesti o esperienze anche piccole ed essenziali.

Resiliente. Parola all’apparenza difficile, che si può però esprimere con una bella metafora: “l’arte di risalire su una barca rovesciata”.

Riflessiva. Anche se sembra in contrasto con la semplicità, a volte mi aiuta ad apprezzarla. Di base, il mio cervello è un simposio in cui gli invitati non smettono mai di parlare.

Per riassumere vi do un’immagine di me stamattina: sono andata a lavoro in bici (semplice), ho resistito allo smog e agli insulti degli automobilisti conservando la pace interiore (resiliente), mentre nella mia testa ragionavo su mille immagini e parole (riflessiva).

Ah sì, perché, in tutto ciò lavoro, non sono una studentessa che scrive sognando di diventare una giornalista o una blogger di tendenza. Quando mi chiedono che cosa faccio, cerco di cavarmela rispondendo: “Scrivo su un sito web”; se questo non convince aggiungo “di formazione”.

Ma entriamo nel vivo… CULTURA, questo è il mio vero tema di oggi.

Parlare di calcio e di cultura assieme fa un po’ “sudare da fermi”, come la cappa di caldo a Milano in agosto. Pensate che in un articolo del 2012 la Gazzetta aveva stimato che la percentuale di calciatori laureati in serie A (maschile) fosse solo dello 0,8% e sinceramente, non penso che le cose siano migliorate nel tempo.

Navigando nell’etere di internet ho trovato su Quora – un portale di domande e risposte – il dilemma espresso da un utente inerente al distacco dalla cultura intitolato: “Perché i giovani d’oggi sono poco attratti dalla cultura?”.

Tra le risposte mi ha colpito questo frammento: “Trovo comunque che la cultura, proprio perché spinge a sforzare il cervello, non sia mai piaciuta proprio a tutti”.

Mia risposta alla risposta: “Certo, se intendiamo cultura come sapere, studio, istruzione FORZATA perché dovrebbe piacerci?”.

In generale si usa il termine come sinonimo di intelletto, conoscenza, sapere. Una noia, insomma, è un termine che allontana invece che avvicinare come dovrebbe.

A me piace molto di più il senso antropologico, ovvero l’insieme di tutte le cose che una persona ha, fa e pensa, anche in relazione agli altri e al luogo in cui vive.

Se provate a googolare la parola, vedrete che mi sono presa un po’ di licenza poetica dall’enciclopedia Treccani (chiedo venia), ma almeno così si capisce… e può quasi piacere.

Io credo che la cultura sia qualsiasi elemento che, in qualche modo, entrano nella nostra testa e Vita o che abbiamo addirittura vissuto e che ci possa far progredire nel nostro percorso insieme agli altri.

Questa è la definizione di cultura che mi piace.

Faccio anche un gioco per chiudere: provo a definirla con le stesse 3 parole con cui mi sono descritta.

Semplice. È ovunque, anche nelle piccole cose. Ne siamo immersi e non c’è bisogno di sforzare il cervello.
Resiliente. Può succedere qualsiasi cosa, ma tanto si risale sempre sulla splendida barca dal nome “Cultura”.
Riflessiva. È la benzina dei nostri ragionamenti, la protagonista dei nostri pensieri come elemento di pace, di disturbo o di piacere.

Francesca Ronchi 

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