Economia

MERCATO DEL LAVORO: LE COSE VANNO MEGLIO MA…

Nel 2018 il numero degli occupati ha raggiunto il valore più alto nel corso dell’ultimo decennio, superando di 125 mila unità il dato del 2008

A cinque anni dall’avvio della ripresa economica il mercato del lavoro italiano mostra, nonostante il recente rallentamento ciclico, un sostanziale miglioramento, superando i livelli occupazionali pre-crisi e riducendo progressivamente la forza lavoro non utilizzata nel sistema produttivo, che permane tuttavia ancora su livelli elevati. La ripresa dell’occupazione è riuscita però solo parzialmente a ridurre vulnerabilità e divari che si erano acuiti durante la fase recessiva; anche l’input di lavoro complessivo, misurato dal totale delle ore lavorate, resta tuttora ampiamente al di sotto del livello del 2008. E’ quanto rileva l’ISTAT nel suo Rapporto annuale.

Nel 2018 il numero degli occupati ha raggiunto il valore più alto nel corso dell’ultimo decennio, superando di 125 mila unità il dato del 2008, pur in presenza del rallentamento del ritmo di crescita (+0,8 per cento nel 2018 a fronte di +1,2 e +1,3, rispettivamente, nel 2017 e 2016).

I divari territoriali si sono però ampliati ulteriormente. Il Centro-nord, con 384 mila occupati in più rispetto al 2008 (pari al +2,3 per cento) ha realizzato un pieno recupero, mentre nel Mezzogiorno il saldo è ancora ampiamente negativo (-260 mila; -4,0 per cento). Nel Centro-nord la ripresa è stata trainata, tra il 2013 e il 2018, dalle professioni qualificate, che hanno superato i livelli pre-crisi (+71 mila). Nel Mezzogiorno la pur positiva dinamica degli ultimi anni ha riguardato soprattutto le professioni non qualificate e quelle esecutive nel commercio e nei servizi, mentre resta negativa la dinamica di quelle qualificate.

Con riferimento al periodo 2008-2018, il deciso aumento dei lavoratori dipendenti e il calo di quelli indipendenti si sono accompagnati a una ricomposizione interna dei due aggregati, che ha comunque accresciuto il peso di componenti che presentano al loro interno segmenti relativamente più vulnerabili. Tra i dipendenti è infatti aumentata notevolmente l’incidenza dei lavori a termine, in particolare di quelli di durata inferiore ai sei mesi, e tra gli indipendenti si è accresciuta quella, già cospicua, degli autonomi senza dipendenti: un segmento particolarmente eterogeneo e con importanti tratti di vulnerabilità.

Contestualmente, si sono ridotte le forme di lavoro permanente a tempo pieno, mentre è fortemente aumentato il part-time involontario, soprattutto per la componente femminile. La dinamica positiva dell’occupazione per le donne, la cui partecipazione al mercato del lavoro è aumentata nel decennio, si è accompagnata a una riduzione della stabilità e delle ore lavorate.

Anche nella fase di ripresa, il part-time involontario rappresenta una caratteristica rilevante delle dinamiche occupazionali, riguardando, tra il 2013 e il 2018, il 40 per cento dei nuovi posti di lavoro. Benché il tasso di occupazione femminile sia cresciuto di tre punti percentuali nel complesso, tale aumento è stato di gran lunga più contenuto per le donne tra 25 e 49 anni (+1,5 punti). In questa fascia di età, il tasso si è persino ridotto in corrispondenza di quante hanno figli tra 0 e 2 anni (-1,5 punti), prova di una partecipazione delle donne al mercato del lavoro fortemente condizionata dal ruolo svolto in famiglia.

Questa trasformazione dell’occupazione è anche il riflesso della ricomposizione avvenuta nei settori e nelle professioni, che vede ridursi il peso dei comparti a maggiore intensità di lavoro a tempo pieno, e aumentare quello dei settori e delle professioni a più alta concentrazione di lavoro a orario ridotto.

L’espansione dell’occupazione meno qualificata ha inoltre accentuato la segmentazione del mercato del lavoro, con la concentrazione dei lavoratori stranieri in occupazioni caratterizzate da bassi skill, minori tutele e retribuzioni inferiori. Allo stesso tempo, i dati sulle piccole e medie imprese attive in Italia indicano che nel 2016 (ultimo dato disponibile) quelle guidate da imprenditori nati all’estero ammontano al 7,1 per cento: si tratta di quasi 320 mila aziende, che impiegano oltre 700 mila addetti.

Fra il 2008 e il 2018 è aumentata la distanza fra giovani e adulti in termini di stabilità del lavoro: la quota di dipendenti a tempo indeterminato tra i primi è scesa dal 61,4 per cento al 52,7, mentre quella degli over 35 è aumentata di 1,1 punti, attestandosi al 67,1 per cento. In parallelo va dato atto che l’innalzamento del livello medio di istruzione della popolazione si è tradotto in un ricambio generazionale degli occupati a favore di coorti sempre più istruite: tra il 2008 e il 2018 i laureati occupati aumentano di 1 milione 431 mila unità e il loro peso relativo (tra gli occupati) passa dal 17,1 al 23,1 per cento.

L’innalzamento del livello di istruzione della popolazione fa sì che tutti i gruppi professionali possano oggi contare su livelli medi di conoscenze superiori rispetto al passato. La ricomposizione occupazionale a favore di professioni meno qualificate acuisce il problema del disallineamento tra domanda e offerta di lavoro e, in questo contesto, la presenza di sovraistruzione – ovvero di occupati con un titolo di studio più elevato rispetto a quello richiesto per la mansione svolta – rappresenta un ostacolo alla piena valorizzazione del capitale umano, ed è anche uno dei grandi problemi sotto il profilo del benessere individuale e sociale. Il mismatch interessa infatti più del 42 per cento dei laureati 20-34enni.

Nel complesso, una maggiore dotazione di capitale umano si conferma comunque un fattore determinante per la performance individuale sul mercato del lavoro: chi ha conseguito la laurea o un titolo superiore presenta un tasso di occupazione pari al 78,7 per cento, valore maggiore di oltre venti punti percentuali rispetto al tasso di occupazione totale (58,5 per cento) e di quasi 35 punti percentuali rispetto a chi ha al massimo la licenza media.

Un segnale positivo emerge per le professioni più qualificate che, dopo aver subito una forte contrazione durante la crisi, sono tornate gradualmente a crescere a partire dal 2014. Tale progressiva ripresa può essere letta anche alla luce dei processi di ristrutturazione adottati negli ultimi anni dalle imprese che hanno investito in capitale umano e fisico, e in particolare da quelle impegnate nella transizione digitale e nell’introduzione di innovazioni: per queste si registra, per l’appunto, un aumento dell’occupazione qualificata, che appare peraltro anche premiata da retribuzioni più alte. Importanti segnali di cambiamento nell’assorbimento di professioni qualificate sono testimoniati anche dal fatto che, nel 2018, la crescita dell’occupazione rispetto all’anno precedente è dovuta, in otto casi su dieci, a professioni qualificate, soprattutto nei settori di informazione e comunicazione, servizi alle imprese e industria.

La Voce

Fonte: ISTAT

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Redazione La Voce

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