Calcio Serie A

Superga: 70 anni fa la tragedia

Il "Grande Torino" e le vittime del caso

Juventus e Torino onorano un “derby della Mole” permeato di storia più del solito, che la fantasia del caso ha voluto calendarizzare alla vigilia della 70^ ricorrenza della tragedia aerea di Superga, in cui, pressoché per intero, il 4 maggio 1949 perì il “Grande Torino” tornando da Lisbona dopo aver disputato un’amichevole con i lusitani. L’1-1 dello “Stadium” passa agli archivi con un valore quasi secondario; i granata tengono fede alla propria storica pugnacità disputando un’ottima prestazione, culminata con il gol di Lukic al 18° del primo tempo, che tiene la squadra di Mazzarri ancora in corsa per la Champions League, mentre i bianconeri replicano all’84° grazie al 21° gol in campionato di Ronaldo, tributando poi tramite la tifoseria il commosso ricordo ai gloriosi rivali.

In un’Italia che, anche attraverso il calcio, andava ricomponendosi dopo essere stata inghiottita e stremata dalla guerra, la fine del “Grande Torino” fu vissuta come il “coccio aguzzo di bottiglia” che attende “in cima alla muraglia” di montaliana memoria; si pensi ad esempio ad Ernest Erbstein, uno dei responsabili dell’area tecnica dei granata, che scampò agli orrori delle leggi razziali e dell’internamento, per poi finire la propria esistenza nello schianto di Superga.

La vicenda dell’allenatore ungherese, peraltro, non è la sola in cui il caso giocò un ruolo beffardamente tragico. Basti pensare al fatto che l’amichevole che il Torino andò a disputare a Lisbona contro il Benfica in onore del capitano Francisco Ferreira fu organizzata quasi su due piedi e con una stretta di mano da Valentino Mazzola e dallo stesso Ferreira dopo un incontro tra la Nazionale azzurra e quella portoghese. Altrettanto casuale costituisce poi il fatto che la società di Lisbona avesse già raggiunto per l’amichevole un accordo di massima con il Bologna, cui poi fu preferito il Torino, la cui notorietà avrebbe invece garantito un maggior afflusso di pubblico allo stadio.

Anche tra i giocatori che persero la vita nell’incidente si intrecciano storie in cui è chiarissima l’impronta del destino. Valerio Bacigalupo, portiere granata, solo tre anni prima era sopravvissuto ad un impatto stradale avvenuto in prossimità di Savona, in cui aveva invece perso la vita un amico. Dino Ballarin, anch’egli portiere ma senza presenze ufficiali con la maglia del “Toro”, fu invece aggregato alla squadra in occasione della trasferta portoghese come premio per l’impegno mostrato negli allenamenti; determinante, in questo senso, fu l’intercessione del fratello maggiore Aldo, difensore, che si espose con la società affinché anche il giovane portiere potesse vivere l’esperienza della partita con il Benfica. In questo contesto, visse con grande amarezza l’esclusione il secondo portiere, Renato Gandolfi, che seppe della sua mancata convocazione solo pochi giorni prima della partenza; e che invece ebbe salva la vita.

Curiosa è poi la vicenda di Danilo Martelli, promettente mediano rimasto in granata solo in virtù della generosità dei compagni di squadra; la società torinese, infatti, stava pianificando una cessione remunerativa per aggiustare il proprio bilancio e Martelli avrebbe garantito un ottimo introito. Pur di non farlo cedere, i compagni organizzarono una forma di autotassazione in modo da arrivare alla metà della cifra garantita alle casse granata dal trasferimento; il giovane centrocampista rimase così a Torino, andando incontro al proprio destino.

Non può poi mancare un riferimento a Valentino Mazzola, che in quegli anni rappresentava una delle massime espressioni calcistiche a livello europeo; la tragedia avvenne solo pochi giorni dopo le seconde nozze del fuoriclasse, precedute, peraltro, da lunghe controversie giuridiche con la prima consorte. Abituato ad appuntare in modo maniacale le proprie vicende personali e sportive, nelle sue memorie faceva più volte riferimento alla propria inguaribile paura di volare, quasi a presagire la fine che avrebbe incontrato; e che, insieme a lui, avrebbe spazzato via un pezzo della storia del calcio, un pezzo della storia d’Italia.

Gigi Bria

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Gigi Bria

Le cose migliori arrivano per caso. Per caso, ormai dieci anni fa, iniziai ad insegnare diritto ed economia politica in una scuola superiore di Milano. Sempre per caso, qualche anno fa, mi fu proposto di scrivere. Ho visto "La Voce" quando era ancora un embrione; ora è il giovane figlio di cui mi prendo cura ogni giorno parlando di sport e dirigendone la relativa redazione. Seguo il mondo del calcio, confidando di riuscire a non far mai trasparire la mia pur blanda fede calcistica.
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