Storia

11 Settembre: il ricordo della strage attraverso gli occhi di una bambina

La tragedia del World Trade Center a 17 anni di distanza

La mattina dell’11 settembre 2001, diciannove terroristi presero il comando di quattro aerei di linea in viaggio verso la California, decollati rispettivamente dal Logan di Boston, dal Washington Dulles di Dulles – ma utilizzato per voli da Washington – e dal Newark, in New Jersey.

I dirottatori condussero due aeroplani modello Boeing 767, il volo American Airlines 11 ed il volo United Airlines 175, a schiantarsi contro le torri Nord e sud del World Trade Center. Un altro gruppo di dirottatori condusse il volo American Airlines 77 contro il Pentagono, mentre un quarto volo, lo United Airlines 93, col quale i terroristi intendevano colpire il Campidoglio o la Casa Bianca a Washington, precipitò nei pressi di Shanksville, in Pennsylvania. Tre edifici del complesso del World Trade Center collassarono a causa di danni strutturali. La torre meridionale (denominata WTC 2) crollò alle 9:59 circa, dopo un incendio di 56 minuti causato dall’impatto del volo United Airlines 175; la torre settentrionale collassò alle 10:28. La caduta di WTC 1 produsse detriti che danneggiarono la vicina 7 World Trade Center, la cui integrità strutturale fu ulteriormente compromessa dagli incendi, che portarono al crollo della penthouse est alle 17:20 (ora locale) di quello stesso giorno; l’intero edificio collassò completamente un attimo dopo.

Le vittime degli attentati furono 2.974, esclusi i diciannove dirottatori. Furono più di 90 i Paesi che persero cittadini negli attacchi. Almeno 200 persone saltarono dalle torri in fiamme e morirono, come raffigurato nella emblematica foto, ‘The Falling Man’ (‘L’uomo che cade’), precipitando su strade e tetti degli edifici vicini, centinaia di metri più in basso.

Io non ero li, ovviamente. Come avrei potuto? Ma lo ricordo così nitidamente che è come se ci fossi stata. Avevo solo 11 anni e vissi quei momenti con la spensieratezza e la leggerezza di una ragazzina che non capisce cosa stia accadendo, ma vede tutti preoccupati e agitati e quindi si sforza di comprendere quelle immagini annebbiate e così tristi. Di per sé, era una giornata come le altre; estate finita e tutti pronti per il rientro a casa. Giocavo in giardino con il nonno e la nonna quando, ad un certo punto, il telefono di casa squillò. Era la zia, la sorella della nonna, che disperata urlava di accendere la televisione e mettere su un canale preciso perché un aereo di quelli che usavo per andare in vacanza, si era schiantato contro un palazzo in America. America?! Che ne potevo sapere io?! Niente. Vidi solo la nonna correre in casa, ancora al telefono e poco dopo urlare al nonno di raggiungerla per andare a vedere, che era una cosa terribile. Lui si precipitò ed io rimasi lì seduta nell’erba, da sola, con il broncio perché il nonno se n’era andato e non mi dava più attenzione. Come tutti i ragazzini, feci un po’ i capricci; poi, vedendo che nessuno mi ascoltava, mi decisi ad entrare in casa anch’io per capirne di più su quello strano aereo. Avevo comunque l’età giusta per rendermi conto: non ero più una bambina di 5 anni e così quando mi sedetti sul divano davanti alla televisione, capii che quell’aereo “l’aveva fatta grossa”. Guardando in faccia i miei nonni lessi paura, incredulità, sgomento e ansia. Erano così agitati che parlavano a caso, uno sopra all’altro. Il nonno avrà fumato almeno due pacchetti di sigarette e la nonna urlava al telefono con la zia per cercare di capirne di più.

Io lasciai un attimo perdere e da curiosa quale ero e sono, riposi la mia attenzione allo schermo della tv. Una cronista del Tg, in preda all’agitazione, raccontava l’accaduto; io non la ascoltavo, guardavo le immagini: persone ferite, sanguinanti, con i volti sfregiati e sporchi di polvere, gli abiti stracciati e qualcuno con del ghiaccio sulla fronte. Sirene di ambulanze ovunque e pompieri che urlavano di portare più acqua. Agenti della Polizia che cercavano di togliere le persone dalla strada e poi, l’immagine di un aereo che si lanciava addosso al palazzo, entrandoci completamente. Poco prima era passata una registrazione di un uomo che da quell’aereo chiamava la moglie al telefono, dicendo quanto l’amasse e di dare un bacio ai loro figli perché non sarebbe più potuto stare con loro. Seppur undicenne, ricordo di aver avuto una stretta alla pancia. Quella torre poi, si accartocciò su stessa cadendo in una coltre di fumo e cenere, tra le urla e i pianti disperati di chi si trovava sotto e stava riprendendo. Ricordo che tutti si zittirono e smisero di fare ciò che stavano facendo, guardando increduli la torre cadere come un mazzo di carte buttato giù con un colpo della mano. Rimanemmo lì, tutti così in silenzio a guardare. Mi mancava il respiro e ricordo che la nonna dovette essersi accorta di quanto piangevo, perché mi ha preso in braccio dicendo che non era niente, che era in un posto lontano e che quelle persone sarebbero state bene. Che non era niente… Già, ad ogni bimbo si dice così, perché mai nessuno dovrebbe vivere o vedere certe atrocità. Eppure, a me quel posto sembrava così vicino e quelle grida così dirette e vere al punto di farmi male. Sapevo che non sarebbe passato tutto e quelle persone sarebbero morte o rimaste ferite e scosse a vita: come chi stava guardando da casa, ferito nel cuore e nell’anima. La nonna e il nonno fecero di tutto per tranquillizzarmi, ma nei loro volti leggevo tanta preoccupazione e tristezza. Non avevo capito chi avesse detto a quell’aereo di schiantarsi su quelle torri, ma lo avevo visto con i miei occhi entrare e non uscirne più. Ho pensato a tutte quelle persone a bordo, alle loro famiglie e ai loro cari. Mi domandai: “E se ci fossero stati i miei genitori? Usciti di casa al mattino per andare a lavorare e mai più tornati? E i miei nonni? Come avrebbero fatto senza di loro?”.

Io avevo solo 11 anni ma l’immagine di quegli aerei che si schiantano sul World Trade Center è rimasta. Ha fatto il giro del mondo e se ognuno di noi chiude gli occhi, me compresa, la vede ancora. E se quel giorno qualcuno era davanti alla televisione, sentirà ancora le strazianti voci di chi era in mezzo a quel caos, senza sapere che fare, senza sapere se sarebbe tornato a casa dai propri figli o dalla propria moglie. E fa ancora male.

Ricordare non è sempre un bene perché a volte il dolore è forte e rievoca scene che il nostro cervello ha “nascosto” perché catalogate come male. Ma ricordare è anche giusto perché in quella strage, tantissimi hanno perso qualcuno. Tanti hanno provato un dolore che ancora si portano dentro. Tanti hanno visto distruggere un simbolo, tanti hanno visto un popolo cadere a pezzi. Nel dolore siamo tutti uguali, non c’è distinzione: è umano.

Un pensiero per tutte quelle persone e i loro cari, ci sarà sempre. Dal cuore di tutto il mondo con la speranza che possa non accadere più.

Beatrice Spreafico

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Beatrice Spreafico

"Leggere, scrivere, chiacchierare, ascoltare, ridere, amare.. queste sono le costanti della mia vita senza le quali non potrei essere io. Amo emozionarmi e sorprendermi, cercando di lasciare un bel ricordo di me nelle persone che incontro. Credo nell’empatia e nel potere della determinazione: la mia testardaggine incallita è rinomata e - guarda caso - il mio motto è “mai arrendersi. Le cose belle richiedono tempo”. Porto gli occhiali, che sono la mia estensione sul mondo e vivo tra ricci e capricci. Sono Social Media Manger In Wellnet, dove mi occupo di Social e sviluppo Piani Strategici ed Operativi per i clienti, su differenti piattaforme. In poche parole? Trasformo le loro richieste in parole ed immagini da ricordare. A LaVoce, invece, mi occupo della prima pagina scrivendo di politica, economia, attualità e scienza."
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