Economia

CORONAVIRUS. ISTAT: “Shock economico rilevante”

Con il lockdown fino a giugno, lo scenario Istat ipotizza la riduzione di consumi del 9,9% con contrazione complessiva del valore aggiunto pari a 4,5%

Le misure di restrizioni delle attività economiche per il coronavirus “sono in grado di generare uno shock rilevante e diffuso sull’intero sistema economico”. A dirlo è l’Istat, che ipotizza,nel caso le misure vadano avanti fino a tutto aprile, una riduzione dei consumi su base annua pari al 4,1%,con una diminuzione del valore aggiunto generato dal
sistema produttivo pari all’1,9%.

Con il lockdown fino a giugno,lo scenario Istat ipotizza la riduzione di consumi del 9,9% con contrazione complessiva del valore aggiunto pari a 4,5%.

IMPRESE

I principali dati disponibili per le imprese, riferiti a periodi precedenti la diffusione del COVID-19, mostravano segnali di debolezza dell’attività economica che tuttavia non avevano impedito, nel quarto trimestre del 2019, un lieve aumento della quota dei profitti delle società non finanziarie (41,8%, +0,2 punti percentuali rispetto al trimestre precedente) mentre il tasso di investimento aveva mostrato un lieve arretramento (21,5%, -0,1 punti percentuali rispetto al trimestre precedente). A gennaio la produzione industriale aveva registrato un rimbalzo congiunturale (+3,7%) ma la media del trimestre novembre-gennaio aveva segnato una diminuzione (-0,9%) rispetto ai tre mesi precedenti. Una prima lettura degli effetti del progressivo rallentamento dei flussi commerciali internazionali e della chiusura di alcuni settori produttivi è possibile attraverso i dati sul commercio estero con i paesi extra Ue riferiti a febbraio e a quelli riferiti alla fiducia delle imprese di marzo. Il commercio dell’Italia con i paesi extra Ue (incluso il Regno Unito) ha mostrato un aumento tendenziale delle esportazioni (+6,4% la variazione tendenziale, -0,6% la variazione congiunturale) e un calo delle importazioni (rispettivamente -3,6 e -6,1%). La dinamica delle vendite è stata determinata prevalentemente da un aumento delle esportazioni verso gli Stati Uniti, la Svizzera e il Giappone mentre si è registrata una marcata riduzione delle vendite dirette verso la Cina connessa alle fasi iniziali della diffusione dell’emergenza sanitaria (-21,6% la variazione rispetto a febbraio 2019). La riduzione delle esportazioni verso la Cina ha riguardato un numero esteso di prodotti, sia beni di consumo sia intermedi e strumentali. Nello stesso mese, le importazioni di beni cinesi, che rappresentano circa il 7,5% del totale dei nostri acquisti dall’estero, hanno continuato ad aumentare (+2,5% la variazione annua dei primi due mesi del 2020).

Rispetto ai saldi commerciali è opportuno ricordare che a febbraio si sono registrati valori positivi per gli Stati Uniti (3,1 miliardi), Svizzera e Regno Unito (1,2 miliardi in entrambi i paesi). A marzo, il clima di fiducia delle imprese ha segnato una forte flessione generalizzata a tutti i settori con intensità maggiori nel settore dei servizi e, in particolare, nei servizi turistici e nel trasporto e magazzinaggio. Nella manifatturiera le attese sugli ordini e la produzione hanno registrato un drastico ridimensionamento mentre le imprese delle costruzioni hanno espresso un calo di fiducia decisamente più contenuto.

Famiglie e mercato del lavoro

A marzo anche la fiducia dei consumatori ha segnato un deciso peggioramento soprattutto rispetto ai giudizi sul clima economico e futuro e sulle attese di disoccupazione. Se a febbraio i dati sul mercato del lavoro hanno confermato la sostanziale stazionarietà dell’occupazione registrata negli ultimi mesi, le vendite al dettaglio hanno invece segnato un deciso miglioramento, verosimilmente connesso ai comportamenti di spesa delle famiglie in presenza della prima fase dell’epidemia di COVID-19. Queste dinamiche si sviluppano in un contesto che vede, nel quarto trimestre del 2019, il reddito disponibile delle famiglie consumatrici diminuire congiunturalmente in termini nominali (-0,2%), flessione amplificata dall’aumento dei prezzi, che ha determinato una più accentuata riduzione del potere di acquisto (-0,4%). La contemporanea stazionarietà dei consumi ha comportato una lieve riduzione della propensione al risparmio (8,2%, -0,1 punti percentuali rispetto al trimestre precedente). Nei primi mesi dell’anno, il commercio al dettaglio ha mostrato una ripresa. In particolare, a febbraio le vendite hanno segnato un deciso miglioramento (+0,9% la variazione congiunturale in volume) trainato dagli acquisti di beni alimentari (+1,2%). Gli acquisti hanno privilegiato la grande distribuzione (+8,4% la variazione tendenziale in valore) rispetto alle imprese operanti su piccole superfici (+3,3%). I dati sull’occupazione di febbraio hanno evidenziato il proseguimento della fase di debolezza che aveva caratterizzato i mesi precedenti: il tasso di occupazione è rimasto stabile rispetto al mese precedente (58,9%) mentre è diminuito marginalmente il tasso di disoccupazione (9,7%, -0,1 punti percentuali) in presenza di un aumento degli inattivi. A marzo i giudizi espressi dalle imprese sulle attese dell’occupazione per i prossimi mesi hanno mostrato, come atteso, un deciso peggioramento che ha coinvolto tutti i settori ad eccezione delle costruzioni.

Prezzi

A marzo, la dinamica dei prezzi al consumo ha registrato un ulteriore rallentamento dopo quello di febbraio, attestandosi su un valore prossimo allo zero. In base alle stime preliminari, che tengono conto nella loro elaborazione dell’impatto sulla produzione delle statistiche dell’emergenza sanitaria per la pandemia di COVID-19, il tasso di crescita annuo dei prezzi al consumo per l’intera collettività è sceso allo 0,1% (0,3% a febbraio). La decelerazione è stata guidata dall’ampliamento dei ribassi per i prezzi energetici che hanno riflesso il crollo delle quotazioni internazionali del petrolio. Ad attenuare la dinamica annua complessiva si è aggiunta la frenata tendenziale dei prezzi dei servizi, componente particolarmente colpita dagli impatti economici della diffusione di COVID-19 (+0,6% da +1,0% a febbraio). Diffusi sono stati, viceversa, i rincari tra i beni alimentari, con un tasso annuo risalito al +1,2%, come nel marzo 2019. Per i beni industriali non energetici la dinamica si è confermata per il terzo mese consecutivo appena positiva (+0,1% come a febbraio). Nell’area dell’euro, l’intensità della caduta dei prezzi energetici ha determinato un rallentamento dell’inflazione complessiva (+0,7%, mezzo punto in meno rispetto a febbraio) più accentuato rispetto al nostro. Il differenziale inflazionistico dell’Italia rispetto ai partner della zona euro è rimasto negativo, ma si è pressoché dimezzato: -0,6 punti percentuali contro un punto in meno nel bimestre gennaio-febbraio. Di entità quasi analoga il divario relativo alla core inflation, anch’esso in leggera riduzione (-0,5 p.p. da -0,7 negli ultimi quattro mesi) essenzialmente per una minore divergenza tra le dinamiche dei prezzi dei beni industriali non energetici.

Nelle fasi precedenti la distribuzione finale, i dati riferiti all’inizio dell’anno non riflettono ancora gli effetti del diffondersi del COVID-19. In particolare, la dinamica tendenziale dei prezzi all’importazione, nel loro complesso negativa anche a gennaio (-0,3%), ha supportato la fase deflativa. Inoltre, per i beni di consumo non alimentari la caduta annua si è ulteriormente approfondita (-0,8% dal -0,2% di dicembre). Per questo ultimo raggruppamento, diversa la tendenza emersa nella fase della produzione. A febbraio, dopo tre mesi di moderato rallentamento, la crescita annua dei prezzi dei beni venduti sul mercato interno ha segnalato una ripresa (+1,2% da +1,0% a gennaio). Le aspettative degli operatori economici circa l’evoluzione dei prezzi hanno cominciato a riflettere gli effetti del dilagare dell’emergenza sanitaria e delle misure economiche varate per contrastarla. Rispetto all’inizio dell’anno si è confermata, ampliandosi, la divergenza di orientamento tra imprese e consumatori. Le attese per il breve termine degli imprenditori che producono beni di consumo, condizionate dagli sviluppi attuali del quadro economico e dalle incerte prospettive, hanno denunciato una forte moderazione dei listini. La prevalenza delle intenzioni di ribassi rispetto ai rincari è tornata ai livelli di fine 2014-inizio 2015, un periodo contraddistinto da tendenze deflative diffuse a livello internazionale. Il saldo negativo (tra aumenti e riduzioni dei listini) è al momento ancora superiore ai minimi storici toccati a metà 2009 e a fine 2012, in occasione delle ultime due crisi economiche. I consumatori hanno invece manifestato indicazioni di una maggiore inflazione per i prossimi dodici mesi, con quasi un quarto di essi che si aspettano incrementi più sostenuti dei prezzi al consumo.

La Voce

Fonte: ISTAT

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Redazione La Voce

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