Musica

David Bowie: il ricordo del Duca Bianco

Personaggio amato e controverso

Quando nel 1998 è uscito nelle sale Velvet Goldmine di Todd Haynes, ho cominciato a interessarmi di quest’artista lunare, mutevole, androgino, ribelle, sensoriale, gentile, impermanente, fantastico, totale, ineffabile e bellissimo chiamato David Bowie.

Il film racconta la storia di una stella del glam rock che simula la morte sul palcoscenico, sgretolandosi nei frammenti delle sue maschere: sono gli anni Settanta e il lascivo Brian Slade, “suicidandosi”, uccide la Swinging London al suo crepuscolo edonista. Il 3 luglio 1973, all’Hammersmith Odeon, David Bowie è alla fine del suo primo tour quando inscena The Rock’n’Roll Suicide: «Fra tutti i concerti del tour, questo, questo in particolare ce lo ricorderemo per sempre, perché non soltanto è l’ultimo della tournée, ma è anche l’ultimo nostro concerto in assoluto. Grazie». The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders for Mars: l’alieno torna nello spazio e Bowie, per la prima volta, trasfigura la morte divertendosi a leggere i suoi epitaffi. Come quello di Michael Pergolani, che al rientro in Italia scriverà su Ciao 2001: «Come una stella cometa in cielo, David Bowie è apparso per poi sparire negli spazi siderali. Ziggy Stardust ha abbandonato la scena luminosa del pop. Si occuperà d’altro, forse di cinema, forse scriverà… E la gente, appena appresa la notizia, piangeva sere fa. All’Odeon di Londra, piangeva, mentre la scia tracciata da Starman splendeva lassù fra le stelle, ben visibile a tutti gli uomini: addio, David Bowie!». La morte di Bowie è del resto un’opera d’arte già nella sua ouverture, quando nel 1972 Ziggy Stardust concede la sua prima intervista: «Sono preoccupato di morire. Ho paura di essere ucciso sul palco. Io so che un giorno, in America, un grande artista sarà ucciso sul palco e comincio a pensare che potrei essere io. Uscire col mio primo tour, essere ucciso al mio primo concerto e nessuno mi vedrebbe mai più. Questo mi farebbe proprio infuriare».

David Bowie invece, anzi Aladdin Sane, anzi Halloween Jack non ha paura di morire perché è un ribelle, ha il vestito strappato e la sua faccia è un casino, gli piace ballare e si sente immortale. Come gli Young Americans però, i suoi amici Lou Reed e Iggy Pop, la droga lo sta cancellando e l’espressivismo del Duca è bianco e sottile come la cocaina. Così ci vuole un altro colpo di teatro: una genesi nella livida e divisa Berlino per risorgere nel firmamento dei suoi Heroes, in un nuovo e più terso spazio emozionale. È il 1979 e David Bowie, con l’ultimo capitolo della trilogia berlinese nell’incavo di Lodger, saluta gli esagerati Settanta prima di ucciderli con una maschera comica: quel pierrot che nel 1980, cantando Ashes to Ashes, abbandona il Maggiore Tom, tossico e depresso nell’alto dei cieli. Cenere alla cenere, funk to funky, Bowie inventa il videoclip moderno e che il pop abbia inizio. Nel mezzo del cammino della sua vita (terrestre), David è seduto malinconico in una stanza vuota coi muri rivestiti, ma il suo sguardo cangiante è già quello del dandy romantico che svela le regole dell’amore moderno e apre la dancefloor, icona multiforme e stratificata nel cinema, nella pittura, nella poesia, nella scrittura. Fuori dagli anni Ottanta, Bowie assapora invece la fine del secolo decimonono con una tensione distopica e sfogata nei diari di Nathan Adler: un’altra mimesi, un altro concept album (Outside), un altro capolavoro dell’”arte criminale” che idealizza The Ritual Art-Murder of Baby Grace Blue: A non-linear Gothic Drama Hyper-Cycle.

Dove aveva iniziato – quando David Robert Jones era già stato un mod, un hippie chic e perfino una drag preraffaellita – e ora che levita oltre il filo del più grande equilibrista: dalla maniera dell’omicidio rituale, alla mise en abyme di una morte votata all’arte. Nel giorno del suo sessantanovesimo compleanno, Bowie nasconde la sua ultima bellezza dietro la maschera di Lazarus, plumbeo e conturbante in una branda spoglia, con gli occhi fasciati e le borchie sugli occhi. L’uomo che é caduto sulla terra, che ha venduto il mondo, che aveva paura dell’America… E che due volte, o forse tre, è sopravissuto alla fine con la grazia del prodigio. Le sue cicatrici non si vedono più, si veste da mimo sull’ultimo palco, gli è rimasto poco tempo e la sua penna si libra convulsa. David Bowie ha abitato l’arte per sublimare i tremiti ed estinguere la sindrome del volo. Ha scelto una Blackstar per riscrivere il paradiso, e provato infine che nemmeno la morte è uguale per tutti.

Fabio Disingrini

Mostra Altro

Antonio Marino

Cinquantunenne ma con lo spirito da eterno ragazzo. Adoro la compagnia degli amici con la 'A' maiuscola, la buona tavola e le buone birre. Appassionato di politica ma quella con la 'P' maiuscola, sposato più che felicemente. Difetti: sono pignolo. Pregi: sono pignolo

Articoli Correlati

Vedi Anche
Chiudi
Pulsante per tornare all'inizio