Storia

Fra Dolcino e la sua setta: gli eretici de “Il Nome della Rosa”

Predicavano uguaglianza e giustizia: per la Chiesa erano eretici

Tra i movimenti eretici medievali ce n’è uno che è noto al grande pubblico grazie ad un film, un capolavoro tratto dal romanzo di Umberto Eco “Il Nome della Rosa”; in una famosa scena il frate gobbo Salvatore pronuncia la parola “Penitenziàgite”, versione volgare e contratta della frase latina “Poenitentiam agite, appropinquavit enim regnum caelorum” (“Fate penitenza, ché il regno dei cieli è vicino”, dal Vangelo secondo Matteo). Tale espressione era il motto degli “Apostolici”, una setta di eretici che predicavano la povertà della Chiesa ed il ritorno alla santità apostolica, che vivevano di lavoro, digiuni e preghiere, senza imposizione del celibato, che affermarono il diritto dei laici a predicare, l’uguaglianza tra uomini e donne (in un epoca in cui la donna era l’essere impuro erede di Eva), la comunione della ricchezza, il rifiuto di qualunque gerarchia, e l’imminenza del castigo celeste a causa della corruzione dei costumi e dei valori evangelici; “Penitenziàgite” fu poi il motto della setta di cui frate Salvatore aveva fatto parte, ossia quella dei Dolciniani, e di quella andremo ora a conoscere la vicenda.

Dolcino da Novara (all’anagrafe Davide Tornielli) nacque a Prato Sesia (oggi in provincia di Novara) nel 1250 e nel 1291 entrò a far parte del movimento degli Apostolici, di cui abbiamo accennato; l’appellativo di frate va preso con cautela, dato che non è dimostrato che egli abbia mai preso i voti, essendo piuttosto probabile che si autodefinisse “fratello” degli altri componenti del movimento di cui era entrato a far parte. Quando il fondatore e guida del movimento, Gherardo Segarell (o Segalelli), fu condannato a morte come eretico ed arso vivo sul rogo nel luglio del 1300, Dolcino ne prese il posto.

Dolcino fece opera di predicazione nella zona fra Trento ed il lago di Garda e qui nel 1303 conobbe Margherita Boninsegna (nata a Cimego, oggi provincia di Trento, e per questo nota anche come Margherita da Trento), ossia colei che divenne la sua compagna. Dolcino era uomo di grande capacità comunicativa e sotto la sua guida il movimento degli Apostolici riprese a crescere dopo la repressione attuata dalla Chiesa.

Dopo un lungo peregrinare nell’Italia settentrionale, Dolcino ed i suoi seguaci finirono in Valsesia, dove le promesse di riscatto offerte dalla loro predicazione fecero presa sulle poverissime popolazioni della valle; appoggiato dai valligiani, Dolcino decise quindi di “occupare” la Valsesia e di realizzare in quel territorio quella comunità che andava teorizzando nelle sue predicazioni: uguaglianza, rifiuto della gerarchia, comunione delle ricchezze e distribuzione del raccolto in funzione delle necessità dei singoli (i proprietari furono cacciati), insomma una comunità che oggi definiremmo socialista in cui al centro vi era la dignità dell’uomo, l’uguaglianza e la giustizia. Arrivò il 1306 e contro Dolcino ed i suoi seguaci fu indetta una vera e propria crociata dal vescovo di Vercelli Raniero degli Avogadro su autorizzazione di papa Clemente V.

I dolciniani avevano la loro roccaforte su Monte Rubello, sulle Alpi biellesi, dove si arroccarono a difesa contro le truppe vescovili; le zone circostanti furono battute e presidiate in modo da privare i dolciniani di ogni sostentamento e ponendoli in pratica sotto assedio. Il 23 marzo del 1307 le forze vescovili riuscirono ad entrare nel fortilizio dei dolciniani dove resistevano i pochi superstiti con il loro capo (le cifre sui numeri raggiunti dai seguaci di Dolcino non sono certe, attestandosi intorno alle 5.000 unità); tutti i dolciniani vennero uccisi tranne Dolcino, il suo vice Longino da Bergamo e Margherita.

I prigionieri furono condotti a Vercelli e Dolcino fu processato, torturato e condannato a morte; durante il processo dichiarò di non essere pentito e si rifiutò di abiurare. Margherita e Longino furono arsi vivi prima di Dolcino, il quale fu costretto ad assistere al supplizio della sua compagna; secondo alcune cronache dell’epoca lui cercò di confortarla “in modo dolcissimo e tenero”. Le autorità decisero che Dolcino dovesse essere punito ed ucciso in maniera esemplare e così fu: venne condotto su di un carro per le vie di Vercelli, fu torturato con ferri arroventati e gli furono strappati il naso e il pene, ed infine fu arso vivo il 1° giugno di quel 1307.

Nel 1907, in occasione del seicentesimo anniversario di quei tragici avvenimenti, fu innalzato un cippo in memoria, che fu poi abbattuto dai fascisti nel 1927 (la filosofia dolciniana era evidentemente un po’ troppo socialisteggiante), e nel 1974 ne fu edificato un altro per iniziativa di Dario Fo e Franca Rame.

In pratica gli Apostolici, e poi i dolciniani, furono considerati eretici perché mettevano in discussione il potere della Chiesa, la proprietà dei beni detenuta da pochi a scapito delle moltitudini che vivevano di stenti, e consideravano gli uomini tutti uguali (donne comprese): in buona sostanza predicavano la povertà per gli uomini di chiesa allo stesso modo dei francescani, ma questi non contestarono il potere della Chiesa e per questo il loro ordine fu riconosciuto, mentre i dolciniani furono sterminati.

Marco Ammendola

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Marco Amendola

Anche se faccio tutt'altro lavoro, sono da sempre appassionato di storia, un romanzo talmente avvincente che non necessita di un finale a sorpresa
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