Storia

Francesco Baracca: asso degli assi, un autentico eroe italiano

Cento anni fa moriva il più grande aviatore italiano della Grande Guerra

Nell’ultimo articolo abbiamo parlato del centenario della Battaglia del Solstizio, la grande vittoria italiana sul Piave avvenuta nel giugno del 1918; ed abbiamo accennato al fatto che durante quella grande battaglia cadde l’asso della nostra aviazione da caccia, il grande eroe Francesco Baracca. E proprio perché questi fu un vero mito nato in quella guerra vittoriosa, alla quale egli diede un fondamentale contributo, al suo ricordo dedicheremo questo articolo.

Francesco Baracca nacque a Lugo, nell’entroterra ravennate, il 9 maggio del 1888 da famiglia agiata; dopo gli studi scolastici entrò nell’Accademia Militare di Modena dalla quale uscì come sottotenente di cavalleria, entrando in forza presso il prestigioso reggimento “Piemonte Reale”. E qui bisogna sottolineare come ai tempi non esistesse un’arma aerea, ma l’aviazione fosse parte integrante dell’Esercito, ed i piloti fossero personale delle varie specialità che poi prendevano il brevetto di volo (l’Aeronautica come forza armata fu istituita scorporando l’aviazione dall’Esercito nel 1923). Baracca decise quindi di divenire pilota da caccia nel 1912, frequentando il corso per piloti in Francia .

Nel maggio del 1915 l’Italia entro nel conflitto dichiarando guerra all’Austria, e Baracca prese parte ai combattimenti aerei sui cieli del fronte dell’Isonzo realizzando il suo primo abbattimento sui cieli di Gorizia il 7 aprile del 1916; per l’occasione gli fu conferita la Medaglia d’Argento al Valor Militare (durante la sua carriera collezionò una Medaglia d’Oro, due d’Argento ed una di Bronzo, oltre a varie onorificenze da paesi alleati); fu la sua prima vittoria, e fu la prima in assoluto per l’aviazione italiana. Ed in breve Baracca divenne un asso dell’aviazione, in un epoca in cui non esistevano i radar per individuare il nemico ancora prima di vederlo, o i missili intelligenti che inseguono il bersaglio: all’epoca di Baracca tutto era affidato al senso tattico del pilota, alla sua mira con la mitragliatrice con cui doveva sparare mentre pilotava un aereo fatto di legno e di tela, ed al suo coraggio personale.

E col passare del tempo il nostro asso collezionava una vittoria dopo l’altra, abbattendo anche più di un apparecchio nemico al giorno, arrivando a guadagnare sul campo il grado di maggiore.

Arrivarono poi le tristi giornate di Caporetto e la conseguente ritirata verso il Piave (per la cronaca, con l’offensiva nemica arrivarono in Italia i tedeschi, compresi i loro mezzi aerei, ed anche loro come gli austriaci impararono a loro spese quanto fosse abile l’asso italiano).

E fu sul fronte del Piave che Baracca ottenne la sua trentaquattresima vittoria, il 15 giugno del 1918, durante quella Battaglia del Solstizio di cui abbiamo già parlato; e quella fu anche la sua ultima vittoria. Difatti il 19 di quello stesso mese Baracca fu colpito sul Montello, durante unadi quelle operazioni di mitragliamento a bassa quota sulle truppe nemiche che esaltavano i nostri fanti, e che li rincuoravano facendoli sentire “protetti” dai loro idoli, dei quali conoscevano ogni singolo nome e che sapevano riconoscere dagli stemmi dipinti sulla fusoliera dei loro aerei.

Il corpo fu ritrovato il giorno 23 sulle pendici del Montello; i funerali si svolsero il 26 alla presenza delle autorità e l’elogio funebre fu pronunciato da D’Annunzio.

La causa della morte di Baracca fu dibattuta (l’esito della guerra era ancora incerto e le notizie che potessero creare sconforto nell’Esercito e nel paese, come l’abbattimento di un nostro eroe ad opera di un pilota nemico, erano da evitare).Secondo alcuni il suo velivolo fu colpito dal fuoco antiaereo e Baracca sarebbe riuscito in qualche modo ad atterrare, per poi allontanarsi dal mezzo e morire subito dopo per le ferite da impatto riportate (difatti il corpo non è stato ritrovato carbonizzato);ovviamente secondo gli austriaci Baracca sarebbe invece stato colpito dai proiettili della mitragliatrice di un loro velivolo; esiste anche l’ipotesi della fucilata partita dalle trincee austriache. Fermo restando l’incertezza sulle cause dell’abbattimento del velivolo, resta il dubbio se la morte del nostro più grande pilota avvenne in conseguenza dei colpi ricevuti o se, una volta resosi conto che non vi era più nulla da fare, si sia suicidato sparandosi con la pistola in dotazione per non bruciare vivo (i piloti della Grande Guerra non erano dotati di paracadute, perché i loro comandanti temevano che la possibilità di salvarsi gettandosi dal velivolo ne avrebbe fatto venire meno l’ardimento), o forse per non farsi pendere prigioniero. Comunque, studi recenti avvalorano l’ipotesi dell’abbattimento da fuoco antiaereo, per cui Francesco Baracca è si morto in guerra, ma senza mai perdere un duello; con buona pace degli austriaci.

Rimane comunque il fatto che Baracca fu il più grande asso della caccia italiana nella Grande Guerra, un valoroso che aveva un altissimo senso del dovere e dell’onore, uno che quando abbatteva un velivolo nemico ed il pilota veniva preso prigioniero, andava a stringergli la mano, perché considerava nemico il mezzo avversario e non l’uomo che lo pilotava (Baracca si era sempre rifiutato di usare pallottole incendiarie che innescavano l’incendio del mezzo nemico, condannando l’avversario ad una morte atroce). E, naturalmente, a questo autentico eroe italiano sono stai dedicati numerosi reparti dell’Aeronautica, diversi aeroporti, un sommergibile, uno stadio, un istituto tecnico aeronautico, la squadra di calcio di Lugo, innumerevoli piazze e vie in tutta Italia, ed ovviamente un reparto del suo reggimento di origine, il glorioso “Piemonte Reale” (oggi “Piemonte Cavalleria”).

Ed in ultimo un fatto poco noto ma che vale la pena di conoscere.

Molto tempo dopo la fine della Grande Guerra, Enzo Ferrari fondò l’omonima casa automobilistica, scegliendo come simbolo delle sue scuderie il famosissimo cavallino rampante; ebbene, la scelta fu fatta proprio per rendere omaggio al grande Francesco Baracca, il quale divenne eroe di guerra compiendo le sue epiche imprese combattendo su apparecchi che recavano sulla fusoliera quello stesso simbolo, quel cavallino rampante che ricordava l’origine da ufficiale di cavalleria del più grande asso dell’aviazione italiana.

Marco Ammendola

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Antonio Marino

Cinquantunenne ma con lo spirito da eterno ragazzo. Adoro la compagnia degli amici con la 'A' maiuscola, la buona tavola e le buone birre. Appassionato di politica ma quella con la 'P' maiuscola, sposato più che felicemente. Difetti: sono pignolo. Pregi: sono pignolo
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