Storia

Gli Arditi, i valorosi reparti d’assalto italiani nella Grande Guerra

Il contributo di quegli ardimentosi per vittoria nell'ultima guerra della nostra indipendenza

Nella nostra rubrica di storia abbiamo dedicato spazio agli anniversari riguardanti il centenario della Grande Guerra, ricordando le gloriose imprese della brigata Sassari, la tragedia dell’Ortigara, la presa di Gorizia, la battaglia del Solstizio, ed abbiamo reso doveroso omaggio ai martiri ed agli eroi che hanno dato la loro vita per la causa italiana: Nazario Sauro, Cesare Battisti e Francesco Baracca. E prima che con l’anniversario di Vittorio Veneto si esauriscano i cento anni degli avvenimenti di quel tragico conflitto, ci sentiamo in dovere di omaggiare con un articolo i più ardimentosi tra i soldati italiani, coloro che con la loro audacia ed a prezzo di perdite elevatissime hanno permesso all’Italia di uscire vincitrice da quel conflitto spaventoso: gli Arditi.

Fin dall’inizio della guerra, nell’insanguinato fronte dell’Isonzo, per gli italiani le battaglie erano consistite in un andare ad infrangere l’impeto delle fanterie in assalti frontali alla baionetta contro un nemico ben trincerato e fortificato; come risaputo, le spallate di Cadorna si risolsero in un bagno di sangue che aveva portato a risultati del tutto sproporzionati all’enorme sacrificio richiesto ai nostri soldati. Fu così che tra i comandi italiani cominciò ad avvertirsi la necessità di dotarsi di nuclei di reparti d’assalto che aprissero la strada al grosso delle fanterie, cercando in questo modo di limitare le elevatissime perdite registrate nei sanguinosi assalti frontali alla trincea nemica; si decise quindi di dare vita a reparti di soldati prelevati dai reggimenti di fanteria,particolarmente ben addestrati nelle tattiche d’assalto. La funzione tattica di questi reparti era quindi quella di occupare fulmineamente la trincea nemica, tenendola fino all’arrivo della fanteria di linea; si trattava quindi di nuclei di soldati tra i più ardimentosi, ma che inizialmente realizzavano il classico assalto frontale, né più e né meno della fanteria di linea: semplicemente lo facevano con più impeto rispetto ai loro compagni, per i quali conquistavano la trincea nemica che poi gli stessi battaglioni di linea avevano il compito di tenere respingendo i contrattacchi avversari. Solo in un secondo tempo, stante l’esperienza maturata dagli altri eserciti (particolarmente quello tedesco), si cominciò a concepire il loro utilizzo nell’infiltrazione, ossia la tattica che prevedeva che piccoli nuclei di reparti d’assalto si infiltrassero oltre le prime linee nemiche neutralizzando nidi di mitragliatrici, postazioni di artiglieria e linee di comunicazione, smorzando quindi la capacità di reazione del nemico al successivo assalto delle fanterie.

Fu però nel 1917 che si cercò di dare vita in maniera organica ai reparti d’assalto, quando la loro creazione venne formalizzata il 29 di luglio dello stesso anno; tali reparti non erano più quindi nuclei appartenenti ai reggimenti di origine, ma divennero un corpo a sé stante. Il primo impiego di questi reparti fu durante la battaglia della Bainsizza (agosto ’17), e successivamente nelle operazioni di rallentamento dell’avanzata nemica dopo Caporetto, per permettere il ritiro dei reparti di linea che si sarebbero poi rischierati sul Piave e sul Monte Grappa.

Il reclutamento avveniva scegliendo nei reparti di fanteria i soldati più coraggiosi, spesso tra quelli già decorati (da sfatare il falso mito secondo cuivenivano reclutati pregiudicati dalla giustizia civile in cambio di riduzioni di pena). Successivamente si passava alla fase di addestramento, particolarmente curato nella lotta corpo a corpo con pugnale, all’uso di bombe a mano (con lancio corto seguito da assalto rapido), lanciafiamme e pistole mitragliatrici; il moschetto in dotazione era quello dei reparti di cavalleggeri, più corto del classico fucile modello ’91 della fanteria di linea, quindi meno ingombrante e più adatto ad essere portato a tracolla durante gli impetuosi assalti. Nei campi di addestramento veniva particolarmente curata la componente atletica ed il realismo degli ambienti, ricreati in maniera molto simile a quelli del fronte, con l’uso di armi e munizioni vere. I soldati dei reparti di Arditi godevano poi di un trattamento migliore rispetto a quelli della fanteria di linea, particolarmente riguardo il rancio, turni di trincea più brevi, maggiori licenze, e generalmente una disciplina meno rigorosa.

Gli Arditi vestivano l’uniforme con giubba a bavero aperto, decisamente più confortevole di quella a bavero chiuso e rialzato dei reparti di linea; sotto la giubba indossavano poi una camicia con cravatta nera e le mostrine erano costituite da una fiamma nera a due punte per gli Arditi provenienti dalla fanteria di linea, mentre quelli che provenivano dai reparti di bersaglieri e di alpini indossavano le mostrine con i colori originari, ossia cremisi e verdi rispettivamente; durante i combattimenti veniva indossato l’elmetto, mentre di solito usavano il fez nero, che rimase il tradizionale rosso per i bersaglieri ed il cappello da alpini per questi ultimi. I reparti di Arditi avevano come simbolo un gagliardetto nero (in omaggio ai carbonari risorgimentali), recante un pugnale col motto dei Savoia FERT contornato da foglie di alloro e quercia, legate da una corda formante un nodo Savoia.

Inutile poi sottolineare come l’uso tattico di quei reparti d’assalto comportasse necessariamente un enorme sacrificio in termini di perdite: durante gli attacchi ai reparti nemici avanzanti durante la ritirata dall’Isonzo verso il Piave, interi battaglioni di arditi si immolarono facendosi massacrare fino a ridurre i reparti a pochi superstiti, in un generosissimo sacrificio che fu di fondamentale importanza per permettere la salvezza di quanto rimaneva del nostro esercito e la continuazione della lotta. E poi la guerra sul Piave, dove i nostri arditi compirono imprese leggendarie, spesso compiendo azioni di incursione in zona nemica dopo aver attraversato a nuoto il fiume col pugnale tra i denti, in speciali nuclei che vennero battezzati i “caimani del Piave”.

Questi furono dunque gli arditi, i reparti d’assalto che durante il ventennio furono celebrati dal fascismo, per il quale molti di quegli ex soldati andarono a costituire la “truppa” del fascismo della prima ondata, quello delle squadre che nell’immediato dopoguerra portarono con la violenza alla fine delle libertà statutarie e dello stato liberale, con l’instaurazione della dittatura (va però sottolineato come una parte, senz’altro minoritaria, confluì nelle formazioni degli “Arditi del popolo”, che si contrapponevano ai loro ex compagni d’arme che vestivano la camicia nera). E dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale si volle che gli Arditi della Grande Guerra venissero dimenticati, data la loro adesione al fascismo, e sulle loro eroiche gesta scese l’oblio; questo fino alla riscoperta in tempi recenti e soprattutto oggi che l’Italia si appresta a celebrare i cento anni dalla vittoria, conseguita anche grazie alle imprese di quegli eroici soldati italiani.

Marco Ammendola

Mostra Altro

Antonio Marino

Cinquantunenne ma con lo spirito da eterno ragazzo. Adoro la compagnia degli amici con la 'A' maiuscola, la buona tavola e le buone birre. Appassionato di politica ma quella con la 'P' maiuscola, sposato più che felicemente. Difetti: sono pignolo. Pregi: sono pignolo
Pulsante per tornare all'inizio