Storia

IL CASO MORO. Il perché del sequestro

Ciò che le Brigate Rosse intendevano ottenere

Proseguiamo il racconto dei 55 giorni di prigionia di Aldo Moro. Abbiamo parlato in precedenza dell’azione che portò al sequestro dello statista democristiano e della strage della sua scorta. Oggi vedremo insieme quello che le Brigate Rosse intendevano ottenere dal rapimento di Moro.

Dopo la mattina del 16 marzo 1978, Roma in particolare ma tutto il territorio nazionale, erano sotto la stretta morsa dei controlli delle Forze dell’Ordine. Il governo presieduto da Giulio Andreotti per la quarta volta, eletto la sera dello stesso giorno del sequestro, non intendeva mollare la presa anche per poter dare risposte all’opinione pubblicata sdegnata dall’azione brigatista.

Fino al 18 marzo ci fu un silenzio totale da parte dei terroristi finché, mentre si stavano celebrando i funerali degli uomini della scorta, le Brigate Rosse non fecero ritrovare il primo comunicato. Ne sarebbero seguiti altri 8 durante i 55 giorni di prigionia di Aldo Moro.

Le parole contenute esprimevano criteri ideologici tipici della lotta armata. Descrivevano l’azione condotta per il sequestro, cosa pensavano di Moro politico e della Democrazia Cristiana. Eccone uno stralcio:

“Giovedì 16 marzo, un nucleo armato delle Brigate rosse ha catturato e rinchiuso in un carcere del popolo Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana. La sua scorta armata, composta da cinque agenti dei famigerati corpi speciali, è stata completamente annientata. Chi è Aldo Moro è presto detto: dopo il suo degno compare De Gasperi, è stato fino a oggi il gerarca più autorevole, il teorico e lo stratega indiscusso di questo regime democristiano che da trenta anni opprime il popolo italiano. Ogni tappa che ha scandito la controrivoluzione imperialista di cui la Dc è stata artefice nel nostro Paese – dalle politiche sanguinarie degli anni Cinquanta alla svolta del centrosinistra fino ai giorni nostri con l’accordo a sei – ha avuto in Aldo Moro il padrino politico e l’esecutore più fedele delle direttive impartite dalle centrali imperialiste”.

Ciò che intendevano ottenere le Brigate Rosse, almeno ufficialmente, era quindi abbattere quello che definivano il “regime democristiano”, caposaldo del ‘Sim’, lo “Stato imperialista delle multinazionali”. L’opinione comunque pessima che i brigatisti avevano invece del Partito Comunista Italiano, era decisamente più contenuta: se la DC era la regia dello Stato che intendevano demolire, il PCI non era molto di più che un alleato del loro nemico democratico – cristiano. Non che non li considerassero, ma mai quanto la Democrazia Cristiana e le idee che essa esprimeva. Più che altro speravano che la loro azione avrebbe bloccato quella che chiamavano “la lunga marcia comunista verso le istituzioni”. Erano certi che così facendo, sarebbero riusciti ad ottenere il controllo della Sinistra, alimentando la lotta al capitalismo attraverso lo scontro rivoluzionario. In altri termini, uno scenario di guerra civile ancor più aspro, fino ad ottenere il pieno potere dato dal riconoscimento politico quale ‘Partito armato’.

La teoria brigatista però, venne fortemente ridimensionata da Mario Moretti che nel 1990, ebbe a dichiarare che quanto le Brigate Rosse intendevano ottenere, non era altro che colpire Aldo Moro in quanto artefice del compromesso storico con il Partito Comunista e vanificare così l’avvento di un governo di solidarietà nazionale presieduto da un democristiano (Andreotti nda) e partecipato dai comunisti.

Le affermazioni di Moretti erano state corroborate da quelle di Franco Bonisoli, un altro brigatista che aveva partecipato all’azione terroristica condotta in Via Fani. Bonisoli infatti disse che mentre si stava pensando a come colpire il cuore dello Stato, era stata presa in considerazione anche l’idea di rapire Giulio Andreotti. L’idea venne accantonata a causa dell’elevatissima protezione sotto la quale si trovava in quei tempi l’esponente democristiano e che avrebbe complicato non poco il compimento dell’atto. Alla ferocia ed alla determinazione dei brigatisti, veniva infatti a mancare l’adeguata preparazione per fronteggiare uno scontro con forze di Polizia superiori in numero alla scorta di Moro: una preparazione tecnica quanto materiale. Ricordiamo infatti che spesso, le armi in uso ai terroristi non erano certo esempi di efficienza: uno dei mitra usati nella strage di Via Fani si inceppò ed il brigatista dovette usare una pistola per portare a termine il suo contributo alla strage.

Andreotti sarebbe stato nel mirino delle Brigate Rosse sin da anni precedenti al sequestro di Moro. Secondo quanto affermato dal brigatista Alberto Franceschini, questi si recò a Roma per capire le condizioni per il sequestro di Andreotti.

Parole, quelle di Bonisoli che però stridono con quanto affermato dallo stesso Andreotti il quale disse che, nei giorni del sequestro di Moro, egli non era scortato.

Uno dei tanti misteri che ancora avvolgono la tragica vicenda, dopo 40 anni.

Antonio Marino

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Antonio Marino

Cinquantunenne ma con lo spirito da eterno ragazzo. Adoro la compagnia degli amici con la 'A' maiuscola, la buona tavola e le buone birre. Appassionato di politica ma quella con la 'P' maiuscola, sposato più che felicemente. Difetti: sono pignolo. Pregi: sono pignolo

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