Storia

IL CASO MORO. Steve Pieczenik: l’uomo degli USA

Un altro controverso personaggio dei 55 giorni

A gravitare attorno al Caso Moro, vi fu anche un altro personaggio. Era stato inviato dal governo degli Stati Uniti su richiesta di Francesco Cossiga per collaborare con i Comitati di Crisi. Si trattava di Steve Pieczenik, assistente del Sottosegretario di Stato, nonché Capo dell’Ufficio del Dipartimento di Stato americano che si occupava della gestione dei problemi dati dal terrorismo internazionale. Pieczenik si fermò nel nostro Paese per tre settimane durante le quali accaddero fatti che lo indussero a commettere atti e maturare la convinzione che non c’era alcuna volontà politica di far liberare lo statista democristiano sequestrato dalle Brigate Rosse.

Di Steve Pieczenik si seppe solo all’inizio degli anni Novanta quando, grazie al lavoro della Commissione Stragi, si seppero i nomi dei componenti dei comitati di crisi. Una delle poche relazioni prodotte alla Commissione, venne attribuita allo stesso Pieczenik. Il negoziatore americano riteneva che l’azione delle Brigate Rosse relativa al sequestro di Moro, fosse stata in qualche modo sostenuta da alcuni esponenti delle Istituzioni. Pieczenik, nella relazione dava anche alcuni consigli su come ingannare i brigatisti, facendo sì che si scoprissero, rendendosi attaccabili. Una di queste, raccontata da Cossiga e confermata da Pieczenik, comportava l’inscenare una finta trattativa con le BR, allo scopo di prendere tempo.

Quando i contenuti della relazione vennero resi noti, Pieczenik ne prese le distanze affermando che c’erano sì degli elementi da lui prodotti, ma anche strategie a lui estranee che lo trovavano in disaccordo. Pieczenik non depose mai alla Commissione Stragi, nonostante in un primo momento avesse dato disponibilità, salvo poi fare un passo indietro. Di quella relazione disse che si trattava più che altro di elaborazioni riconducibili a Ferracuti, sottolineando che non era sua abitudine lasciare in giro scritti. Quanto affermato da Pieczenik trova conferma dal fatto che la relazione riporta riferimenti al comunicato n. 8 delle Brigate Rosse, datato 24 aprile, circa lo scambio tra Moro e 13 terroristi incarcerati. Pieczenik non può aver partecipato attivamente alla stesura definitiva di quella relazione, considerando che lasciò l’Italia ampiamente prima del 24 aprile e precisamente, il giorno 15 dello stesso mese.

Pieczenik, tra le varie dichiarazioni, ebbe a dire che durante la sua partecipazione ai lavori dei comitati, comprese che i brigatisti erano in possesso di informazioni relative a quanto detto durante le riunioni dei comitati stessi e che potevano pervenire loro solo dall’interno delle Istituzioni. A questo aggiunse che sentì palpabile la mancanza di vicinanza della politica a Moro.

In un’intervista del 2006, Pieczenik dichiarò di aver capito che la liberazione di Moro non sarebbe mai avvenuta, quando vide indagini condotte con pressapochismo ed una continua fuga di notizie riservate. Gli stessi Stati Uniti, affermò Pieczenik, sapevano poco o nulla della situazione interna in Italia, tanto che non poté contare né sulla CIA e men che meno sulla diplomazia americana nel nostro Paese.

Preso atto di come sarebbero andate a finire le cose, Pieczenik ammise di aver partecipato alla realizzazione del finto comunicato n.7 e di aver creato le condizioni affinché le Brigate Rosse uccidessero Moro, allo scopo di delegittimarle agli occhi dell’opinione pubblica. Effettivamente, il successo politico dell’organizzazione terroristica avrebbe potuto concretizzarsi solo nella liberazione dello statista e nella demolizione di quanto da lui creato.

Pieczenik spiego il motivo del suo rientro anticipato negli Stati Uniti, con il fatto di non voler far passare il messaggio che Washington avesse premuto per la morte di Moro. Un’affermazione che però ne contraddice un’altra, sempre sua: quella di essere rientrato prima per evitare strumentalizzazioni che legittimassero l’azione delle Istituzioni nella gestione del sequestro di Moro, palesemente inefficiente se non corrotta.

Antonio Marino

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Antonio Marino

Cinquantunenne ma con lo spirito da eterno ragazzo. Adoro la compagnia degli amici con la 'A' maiuscola, la buona tavola e le buone birre. Appassionato di politica ma quella con la 'P' maiuscola, sposato più che felicemente. Difetti: sono pignolo. Pregi: sono pignolo

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