Storia

Il Gattamelata: da soldato di umilissime origini a celebrato condottiero

Un capitano di ventura anomalo, un mercenario fedele al suo datore di lavoro

In questa rubrica già molto spazio abbiamo dedicato alla conoscenza dei capitani di ventura italiani del ‘400, e con questo ad altri articoli continueremo a farlo, dato che la turbolenta ed irrequieta Italia del Rinascimento fu terreno fertile per la nascita delle compagnie di mercenari e dei relativi condottieri. Vedremo quindi ora uno di questi soldati, un personaggio che partì da ben modeste origini e che, dopo la cosiddetta gavetta, si fece un nome ed una reputazione nell’ambiente dei condottieri del suo tempo; stiamo parlando del Gattamelata.

Erasmo da Narni nacque nel 1370 appunto a Narni, figlio di un semplice fornaio; crescendo diverrà un giovane di notevole stazza, come si evince dall’armatura ancora oggi conservata presso Palazzo Ducale a Venezia: 122 centimetri di torace e 74 di spalle, che reggevano un totale di 134 pezzi di armatura per un peso complessivo di 39 chili. Sembra che “Gattamelata” sia la storpiatura del nome della madre Melania Gattelli, e il futuro condottiero sceglierà il proprio stemma in base al suo curioso soprannome, ovvero tre cappi ed una gatta. Date le sue umili origini, la sua carriera militare inizierà partecipando a campagne minori, fino a quando il futuro capitano diverrà allievo del grande condottiero Braccio da Montone, al quale abbiamo già dedicato un articolo. Nel 1419 si confrontò con Muzio Attendolo Sforza (padre del futuro duca di Milano Francesco Sforza), venendo però sconfitto e cadendo prigioniero; liberato, si riunì a Braccio per partecipare all’assedio dell’Aquila nel 1424, dove si mise in luce ma fu nuovamente catturato, riuscendo poi a fuggire. Nel 1427 entrò al servizio del pontefice Martino V, che gli affidò il compito di rimettere in riga i signori dell’Emilia e della Romagna che stavano creando grattacapi al pontefice; nel frattempo ebbe una relazione con Nicolina Varano da Camerino, vedova del suo vecchio maestro Braccio. Durante l’operazione poliziesca in Romagna, il Gattamelata mise in campo la propria furbizia quando, nel 1432, riuscì a prendere il castello di Villafranca presso Rimini, facendo credere agli occupanti che fosse giunto li per pagare il riscatto per alcuni prigionieri; una volta che fu abbassato il ponte levatoio, il Gattamelata e i suoi soldati entrarono facilmente nel castello catturando gli ingenui difensori. Nel frattempo però, Francesco Sforza invase le Marche, e il nuovo papa Eugenio IV fuggì da Roma, lasciando il Gattamelata senza paga; fu così che il 16 aprile del 1434 il nostro protagonista fu assoldato della Serenissima Repubblica di Venezia, dando inizio alla fase più brillante della sua carriera. 

Inizialmente il Gattamelata fu al servizio della Serenissima sempre per compiti polizieschi, tra l’altro subendo una dura sconfitta il 29 agosto del 1434 quando le sue truppe furono battute vicino Imola, dove il condottiero riportò delle ferite che lo costrinsero al ritiro per lungo tempo. Nel 1437 però scoppiò una nuova guerra tra Venezia e la Milano dei Visconti, e il Gattamelata ebbe il comando generale delle forze veneziane, avendo come suo vice quel Bartolomeo Colleoni al quale abbiamo dedicato un articolo, e che sotto il comando del Gattamelata compì la sua leggendaria impresa, facendo risalire l’Adige a bel trenta navi da guerra.  Nel 1439 il nostro protagonista ebbe diversi attacchi cardiaci e si ritirò a vita privata a Padova fino alla morte avvenuta il 16 gennaio del 1443. La Repubblica gli riservò grandi onori ed un funerale solenne nella basilica di Sant’Antonio alla presenza del doge; successivamente fu innalzata una statua equestre a lui dedicata, opera di Donatello. In suo onore, va poi ricordato che il Gattamelata non permise mai che gli uomini posti sotto il suo comando si lasciassero andare alle violenze alle quali erano solite le altre compagnie di soldati di ventura (saccheggi, ruberie, stragi, violenze, ecc.); così come, distinguendosi dagli altri condottieri dell’epoca, rimase sempre estraneo ai sotterfugi ed agli intrighi di potere, cercando sempre di fare al meglio il proprio mestiere, quello delle armi.

A ben guardare però, il bilancio della carriera militare del Gattamelata non fu certo costellato di grandi successi e schiaccianti vittorie, anzi, come abbiamo visto parte delle imprese militari del nostro capitano furono di natura poliziesca e in più occasioni fu catturato dal nemico. Perché allora i veneziani gli tributarono tanto onore sia in vita che dopo la morte? La risposta va ricercata di nuovo nelle vicende e nel modo di fare dei capitani di ventura del ‘400, mestieranti delle armi che combattevano per il soldo e che non avevano alcun legame con il signore o lo stato del quale erano al servizio, se non il soldo stesso. E difatti non rari, anzi frequentissimi, furono i tradimenti e i cambi di schieramento operati dai capi militari dell’epoca, spesso addirittura durante le campagne stesse. Il Gattamelata invece, pur non avendo collezionato successi militari particolarmente brillanti, fu sempre fedele al suo “datore di lavoro”, cosa che dalla repubblica di Venezia fu particolarmente apprezzata, molto più di quanto no lo sarebbe stato l’aver conseguito epocali vittorie sul campo; e difatti per ricompensa il Gattamelata fu anche accolto tra i ranghi del patriziato della repubblica. Ed ecco quindi spiegata l’affezione dei veneziani per il loro capitano, che da quando fu ingaggiato dalla repubblica non la tradì mai fin quando ne fu al servizio, ovvero fino alla fine della sua carriera militare.

Marco Ammendola

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Marco Amendola

Anche se faccio tutt'altro lavoro, sono da sempre appassionato di storia, un romanzo talmente avvincente che non necessita di un finale a sorpresa

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