Storia

Ipazia: la prima scienziata della storia e la sua tragica fine

Una libera intelligenza vittima del fanatismo religioso

Nello scorso articolo ci siamo occupati della biblioteca di Alessandria, la culla del sapere che nel mondo antico attirò i grandi pensatori e uomini di scienza; nella capitale dell’Egitto dei Tolomei il sapere e la conoscenza erano talmente di casa che perfino una donna, ossia l’appartenente ad un genere che all’epoca dei fatti di cui andremo a narrare di certo non godeva di particolare considerazione, poteva distinguersi e mettere in luce le proprie doti intellettuali.

Ipazia nacque ad Alessandria d’Egitto in un periodo stimabile tra l’anno 350 ed il 370 d.C.; era figlia di Teone, matematico ed astronomo capo della scuola neoplatonica di Alessandria. Ipazia aveva potuto studiare nella enorme biblioteca della sua città natale acquisendo una straordinaria cultura nelle scienze matematiche, arrivando a formulare assieme al padre una teoria geocentrica (ossia opposta e quella eliocentrica di Tolomeo, per cui la Terra è al centro dell’ Universo e tutti gli altri corpi celesti le ruotano attorno) che sarà poi definitivamente dimostrata da Copernico e Galilei tredici secoli più tardi. Nessuno degli scritti di Ipazia è giunto sino ai nostri giorni, ma sappiamo dalle testimonianze dei suoi contemporanei che la scienziata alessandrina scrisse vari commentari su fondamentali opere di aritmetica, geometria ed astronomia, nonché su opere filosofiche di Platone ed Aristotele.

Ipazia non era però, come diremmo oggi, un cattedratico, ma era invece una donna di scienza che volentieri condivideva il suo sapere scientifico e filosofico insegnando per le strade di Alessandra alla gran folla dei suoi ammiratori, arrivando ad acquisire una tale autorevolezza da essere interpellata dal console romano Oreste su questioni di carattere pubblico. Ovviamente la cosa portò la scienziata ad assumere un ruolo politico nello scottante momento degli scontri religiosi tra le varie comunità degli abitanti di Alessandria.

Nella città egiziana, crocevia di culture e quindi di religioni diverse, (cristianesimo e paganesimo in particolare), si respirava un clima di forte tensione religiosa, dato che in essa convivevano la tradizionale cultura pagana e quella della religione cristiana, ormai affermatasi come religione di stato dopo che il 27 febbraio del 380 d.C. l’imperatore Teodosio I aveva emanato l’Editto di Tessalonica, col quale la religione cristiana veniva proclamata religione dell’Impero.

Le tensioni sfociarono in violenza quando durante i lavori per convertire l’antico tempio cittadino dedicato a Dioniso scoppiarono tafferugli tra i cristiani, guidati dal vescovo Teofilo, ed i pagani asserragliati nel tempio di Serapide (divinità della tradizione greco-egizia). La lotta aveva assunto i connotati di una guerra civile, tanto che intervenne l’Imperatore Teodosio II, il quale ordinò a Teofilo di arrivare alla pacificazione con i pagani, dandogli in cambio la possibilità di distruggere il tempio.

Nella disputa Ipazia assunse una posizione dettata dalla sua diffidenza verso la religione cristiana, i cui adepti dimostravano una netta intolleranza verso i culti pagani, distruggendo templi ed incendiando biblioteche che contenevano opere ritenute blasfeme.

Accadde che alla morte di Teofilo diventasse vescovo di Alessandria tale Cirillo, noto per le sue posizioni oltranziste ed autoritarie, perfetta incarnazione della cristianità che da perseguitata dei primi tempi divenne persecutrice di qualunque altro culto religioso. In particolare Cirillo si serviva di una setta di fanatici cristiani detti “parabolani”, un vero e proprio braccio armato agli ordini del vescovo alessandrino. Cirillo fece buon uso dei parabolani, riuscendo a sguinzagliarli contro gli ebrei della città, riuscendo a cacciarli da Alessandria e confiscando i loro averi. Il prefetto imperiale Oreste interviene contro Cirillo ed a quel punto lo scontro si profilava durissimo tra l’autorità laica e quella religiosa cristiana. Oreste si rivolse ad Ipazia chiedendole consiglio, cosa che fece infuriare Cirillo il quale era convinto che la donna avesse una nefasta influenza sul prefetto; per di più si trattava di una donna colta ed intelligente, cosa che smentiva apertamente le teorie dei padri fondatori della Chiesa che ritenevano la donna una creatura intellettualmente inferiore, nonché discendente di quella Eva causa del peccato per antonomasia (Tertulliano, uno dei padri della dottrina cristiana, definiva la donna come “un tempio costruito su una cloaca”). In pratica sulla nostra scienziata e filosofa fu emanata una sentenza di morte; siamo nel marzo del 415 d.C.

I parabolani circondarono la lettiga di Ipazia, la tirarono giù e la picchirono selvaggiamente, la trascinarono in una cattedrale, la spogliarono continuando a trascinarla nuda fino all’altare; gli aggressori cominciarono a colpire Ipazia con bastoni ed oggetti appuntiti, urlando e pregando mentre il corpo martoriato della povera donna veniva fatto a pezzi e ridotto a brandelli fino, a quando un mucchio di resti macilenti furono dati alle fiamme. Non c’è che dire, gli uomini di Cirillo (oggi venerato come santo dalla Chiesa Cattolica e da quella Ortodossa), compirono un lavoretto proprio ben fatto.

Il brutale assassinio di Ipazia fu uno dei tanti atti del processo di eliminazione della cultura Pagana ad Alessandria; gli ultimi residui di paganesimo verranno definitivamente eliminati quando l’Imperatore Giustiniano farà chiudere la scuola neoplatonica di Alessandria nel 529 d.C.

Alcuni considerano Ipazia come una sorta di versione femminile di Galileo Galilei, ovviamente in riferimento alle persecuzioni di origine religiosa contro il libero pensiero scientifico; certo i due personaggi vissero in tempi ed in contesti assai diversi ed il paragone può apparire forzato. Resta comunque il fatto che Ipazia fu una donna di grande intelletto, che studiava il movimento degli astri in un epoca in cui stava ormai prendendo il sopravvento quella religione cristiana che concepiva l’Universo come immutabile nell’ordine che è espresso nelle sacre scritture; non vi era quindi più spazio per colei che è giustamente considerata la prima scienziata della storia.

Marco Ammendola

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Marco Amendola

Anche se faccio tutt'altro lavoro, sono da sempre appassionato di storia, un romanzo talmente avvincente che non necessita di un finale a sorpresa
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