Storia

La battaglia del ponte di Goito: battesimo del fuoco per i bersaglieri

Nello scorso articolo abbiamo narrato della battaglia di Goito (30 maggio 1848), uno dei principali avvenimenti della Prima Guerra di Indipendenza, specificando che non va confusa con lo scontro che va sotto il nome di “battaglia del ponte di Goito”, avvenuto qualche settimana prima; data l’importanza storica di quell’avvenimento, facciamo un salto indietro nella linea temporale e vediamo cosa successe quell’8 aprile del fatidico ’48.

Come abbiamo visto in precedenza, cacciati da Milano dopo le Cinque Giornate (18-22 marzo 1848) gli austriaci si attestarono dietro il Mincio, il fiume che collegava le due fortezze di Peschiera e Mantova; l’esercito piemontese di Carlo Alberto, attraversata la Lombardia, giunse sul fiume pronto a dare battaglia. Il piano operativo piemontese prevedeva che una colonna puntasse a nord in direzione di Monzambano, mentre una seconda dirigesse a sud verso la cittadina di Goito, nella quale gli austriaci si erano attestati a difesa essendo uno snodo cruciale verso Mantova e Verona; in questa colonna vi erano i bersaglieri, specialità di fanteria celere fondata il 18 giugno del 1836 dall’allora capitano Alessandro Lamarmora (fratello del più famoso Alfonso, generale dell’esercito prima piemontese e poi italiano, nonché ministro della Guerra e più volte presidente del Consiglio).

Giunti in prossimità di Goito, il cui abitato di trovava davanti al ponte sul Mincio, i bersaglieri si divisero in due gruppi: uno aveva il compito di attaccare frontalmente le difese austriache del paese, mentre l’altro doveva aggirare il centro urbano, prendere il ponte sul Mincio ed attaccare da tergo le forze nemiche. Lamarmora si unì alla colonna che doveva prendere il ponte, incitando i suoi bersaglieri impegnati nel corpo a corpo con gli austriaci; ad un tratto un gruppo di temibili cacciatori tirolesi (i Kaiserjäger) aprirono il fuoco dall’altra sponda del fiume contro i piemontesi ed il capitano fu colpito da un proiettile nemico che gli spezzò la mandibola mentre si batteva a sciabola sguainata. Lamarmora riuscì a non cadere prigioniero continuando a battersi benché seriamente ferito, fu messo in salvo e medicato, mentre un boato annunciava la distruzione del ponte precedentemente minato dagli austriaci; diradatisi il fumo e la polvere dell’esplosione, ci si accorse però che un frammento del ponte era rimasto in piedi e permetteva il passaggio del fiume. Spronati dal desiderio di vendicare il loro capitano, i soldati di Lamarmora si lanciarono con impeto sul ponte (o di ciò che ne rimaneva) e cacciarono gli austriaci oltre il fiume; i bersaglieri furono così i primi soldati piemontesi ad innalzare il tricolore oltre il Mincio. Nel loro primo fatto d’arme i valorosi fanti piumati conseguirono una splendida vittoria contro una truppa d’élite dell’esercito austriaco, contenendo le perdite ad 1 morto ed 8 feriti, riuscendo anche a catturare numerosi prigionieri ed un cannone nemico; per la cronaca, il capitano Lamarmora rientrò dopo un mese di convalescenza. Il valoroso ufficiale fece poi carriera divenendo generale nell’esercito del Regno di Sardegna, e nel 1855 prese parte alla spedizione in Crimea (comandata da suo fratello Alfonso), dove morì di colera come molti suoi soldati colpiti da una terribile epidemia di quel morbo; il fondatore del corpo dei bersaglieri morì tra i suoi uomini all’età di 56 anni.

La vittoria dei bersaglieri permise l’attraversamento del ponte, opportunamente riparato dai genieri piemontesi, sicché tre battaglioni della colonna che puntava su Goito poterono attraversare il Mincio creando una testa di ponte e costringendo gli austriaci a ritirarsi verso Verona.

Marco Ammendola

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Marco Amendola

Anche se faccio tutt'altro lavoro, sono da sempre appassionato di storia, un romanzo talmente avvincente che non necessita di un finale a sorpresa
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