Storia

La peste del 1630 ed il Covid-19: la Lombardia protagonista allora come oggi

Differenze ad analogie tra due epidemie distanti quattro secoli

Nello scorso articolo abbiamo parlato dei lanzichenecchi, le truppe mercenarie che si contrapponevano ai picchieri svizzeri, accennando a come il loro passaggio nel nord Italia abbia favorito il diffondersi del contagio che portò alla terribile epidemia di peste del 1630, quella resa famosa dalla descrizione che ne fece il Manzoni ne I Promessi Sposi: “La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia”. Il movimento di truppe nel nord della penisola fu determinato dallo scoppio della guerra di successione di Mantova e del Monferrato (1628-1631) iniziata a causa della morte senza eredi di Vincenzo II Gonzaga (1627), conflitto che vedeva il Sacro Romano Impero, la Spagna ed il ducato di Savoia contrapporsi alla Francia e alla Repubblica di Venezia. Si ritiene che il contagio sia avvenuto principalmente ad opera di truppe francesi provenienti da zone infette che portarono il morbo in Piemonte, e da truppe di lanzichenecchi provenienti dalla Baviera e dirette verso Mantova che, transitando per Milano, diffusero la peste il Lombardia. Il morbo si diffuse rapidamente facendo strage anche nei territori veneziani, toscani, dell’Emilia ed in Trentino; nel complesso l’Italia settentrionale lamentò circa 1.100.000 morti su una popolazione di circa 4.000.000 .

Anche per l’epidemia del 1630 si trattava di peste bubbonica come nel caso della peste di Giustiniano (541 d.C.) e di quella 1348 (entrambe descritte in questa rubrica), diversa dalla ben più contagiosa ma più rara forma polmonare. Le epidemie di peste, come di molte altre malattie, avevano in comune l’essere spesso accompagnate ad eventi bellici che ne favorirono la diffusione, vuoi per le conseguenti crisi economiche e quindi alimentari che indebolivano le popolazioni, sia per il passaggio di eserciti i cui soldati veicolavano il contagio.

Milano, che contava allora 250.000 abitanti, fu ridotta a 64.000, con una mortalità quindi del 74%; le altre città lombarde videro il 46% di vittime a Cremona, il 45% a Brescia, il 42% a Como, ed il 42% a Bergamo. Nelle altre zone del nord si registrarono cifre di mortalità che viaggiano tra il 30% ed il 50 % (fuori dalla media solo Firenze col 12%, Bologna col 24%, Verona col 61% e Padova col 59%). La particolare virulenza della malattia nel milanese va poi ricercata anche nella grave crisi economica (e quindi sociale ed alimentare) che colpì la zona nel biennio 1628-’29 con un vertiginoso calo della produzione soprattutto nel tessile a causa della concorrenza fiamminga, e per le difficoltà di approvvigionamento di grano con le conseguenti violente proteste sociali con l’intervento dei lanzichenecchi anche in funzione di ordine pubblico.

Allora come oggi quindi, la Lombardia fu tragicamente protagonista, anche se nel caso della peste del 1630 il focolaio d’origine fu in Brianza, mentre l’epidemia di covid-19 è stata come sappiamo nella bassa lodigiana; ad anche allora le autorità presero dei provvedimenti restrittivi atti ad ottenere il distanziamento sociale (furono proibite fiere e mercati), così come i provvedimenti economici (furono sospeso il pagamento di alcune imposte e fu acquistato grano per distribuirlo alla popolazione più povera, un po’ come oggi con i vari bonus governativi a sostegno delle famiglie). Ovviamente l’atteggiamento della popolazione era del tutto diverso riguardo le cause, che per l’epidemia di covid-19 sappiamo essere legate al virus, mentre ai tempi della peste manzoniana ovviamente non si sapeva dell’esistenza dei microorganismi (il batterio responsabile della peste verrà isolato solo nel 1894) e si attribuivano le malattie ad interventi punitivi divini o ad influssi demoniaci.

Ed anche nel 1630 i provvedimenti atti all’isolamento geografico furono tardivi, perché allora come oggi la Lombardia era popolata e produttiva (e che quindi sia allora che oggi era luogo di scambi e traffici che favoriscono il contagio), ed isolarla voleva dire isolare una regione che, come diremmo oggi, generava una grossa fetta del PIL; gli appelli delle autorità alla collaborazione dei cittadini furono poi spesso disattesi (a paragone di oggi si vedano le massicce partenze dalla Lombardia verso il sud alla notizia dei provvedimenti governativi). Anche l’origine profonda dell’epidemia vede delle analogie tra peste del 1630 e quella di covid-19 riguardo il passaggio da animale a uomo: la peste ebbe origine dal contatto con i topi, mentre il covid-19 dal contatto con i pipistrelli; ed entrambe ebbero origine in Asia. Va notato però che mentre la peste era ben nota all’uomo, il covid-19 è frutto di un salto di specie recente.

Anche la questione delle funzioni religiose tenne banco allora come oggi, con la differenza che per la peste del 1630 non fu posto un freno a messe e processioni, che fecero quindi da veicolo per la diffusione del morbo (a Milano vi fu una processione dedicata a San Carlo il giorno 11 di giugno e nei giorni successivi vi fu un vertiginoso aumento dei contagi), mentre oggi le autorità di governo hanno giustamente proibito le messe per evitare pericolosi assembramenti di persone. Ed in comune le due epidemie hanno anche la credulità popolare, di stampo religioso nel 1630, oggi invece riguardo tesi complottiste che superano il ridicolo (covid-19 arma biologica e simili).

Le immagini odierne di strade e piazze deserte vanno semplicemente sostituite con la visione dei monatti che si aggiravano per le strade a raccogliere i cadaveri o i malati per portarli nei lazzaretti. Così come le tristissime scene dei nostri ospedali strapieni fanno il parallelo con i lazzaretti stessi saturati dall’afflusso di malati; cita sempre Manzoni: “Nel lazzaretto, dove la popolazione, quantunque decimata ogni giorno, andava ogni giorno crescendo, era un’altra ardua impresa quella di assicurare il servizio e di stabilirvi il governo ordinato dal tribunale della sanità”, “Bisognava tener fornito il lazzaretto di medici, di chirurghi, di medicine, di vitto, di tutti gli attrezzi d’infermeria; bisognava trovare e preparar nuovo alloggio per gli ammalati che sopraggiungevano ogni giorno”. “Si fecero costruire in fretta capanne di legno e di paglia”, così come gli ospedali da campo allestiti oggi.

Altra analogia interessante è il fatto che anche nel 1630 i primi casi furono registrati nel mese di marzo, come narrato dal Manzoni: “Sul finire del mese di marzo, cominciarono a farsi frequenti le malattie, le morti, con accidenti strani di spasimi, di palpitazioni, di letargo, di delirio, morti per lo più celeri, violente, non di rado repentine, senza alcun indizio antecedente di malattia”.

Molte quindi le analogie tra la peste del 1630 e l’epidemia di covid-19 che stiamo vivendo, che vanno però ovviamente contestualizzate in funzione soprattutto del diverso livello di conoscenze scientifiche, di possibilità di terapia, nonché della possibilità di informare capillarmente la popolazione. In ultimo, la peste ebbe nell’estate del 1630 una recrudescenza, mentre secondo alcuni l’arrivo della stagione estiva potrebbe portare ad un calo dei casi di contagio da covid-19, cosa in cui tutti speriamo in attesa del vaccino o di farmaci che possano permettere di gestire meglio la malattia. Ed anche il poter sperare in questa possibilità di intervento della scienza medica fa una bella differenza tra la pandemia di covid-19 e l’epidemia di peste del 1630.

Marco Ammendola

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Marco Amendola

Anche se faccio tutt'altro lavoro, sono da sempre appassionato di storia, un romanzo talmente avvincente che non necessita di un finale a sorpresa
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