Storia

Le Dieci Giornate: quando gli austriaci impararono che i bresciani sono un osso duro

L’eroica città lombarda si ribella agli occupanti austriaci dando loro un gran filo da torcere

In questi giorni in cui l’epidemia di coronavirus sta martoriando la Lombardia, particolarmente nelle sue province orientali di Cremona, Bergamo e Brescia, vogliamo omaggiare quest’ultima città ricordando la vicenda delle gloriose Dieci Giornate, quando i valorosi cittadini bresciani si ribellarono all’occupante austriaco guadagnandosi un posto nel novero delle città benemerite del Risorgimento.

Quando sentiamo parlare di Cinque Giornate, tutti sappiamo di cosa si stia parlando, ovvero la gloriosa ribellione dei cittadini milanesi che nel marzo del 1848 riuscirono a scacciare gli austriaci da Milano. Meno note invece sono le vicende che appena un anno più tardi portarono Brescia, la seconda città lombarda per importanza, ad impugnare le armi contro l’occupante austriaco. Entrambi gli episodi, quello milanese e quello bresciano, si inseriscono nell’ambito delle rivoluzioni del biennio 1848-’49, che però si conclusero con un nulla di fatto, essendo divenuti parte integrante della Prima Guerra d’Indipendenza, finita purtroppo con la sconfitta piemontese ed il conseguente ritorno degli occupanti austriaci. Entrambe le eroiche città pagarono caro l’aver alzato la testa e l’essersi ribellate allo straniero sventolando il tricolore, ma a ben vedere a Brescia toccò la punizione più severa, perché la repressione austriaca fu in questo caso davvero feroce. Vediamo allora come si svolsero i fatti che fecero di Brescia una città eroica.

Era il marzo del 1849, quando il popolo bresciano organizzò un comitato clandestino capeggiato dal patriota Tito Speri, uno studente di ventitré anni; l’iniziativa fu presa come risposta all’imposizione, da parte dell’autorità austriaca, di una pesantissima multa alla cittadinanza come punizione dopo il ritrovamento di armi da guerra nascoste in un magazzino. E tutto questo mentre l’esercito piemontese di re Carlo Alberto aveva ripreso la lotta contro quello austriaco di Radetzky, rompendo l’armistizio seguito alla sconfitta subita nel luglio precedente Custoza. In breve giunsero in città notizie incontrollate che davano l’esercito piemontese vincitore sugli austriaci, mente invece Carlo Alberto era stato sconfitto a Novara il 23 di quello stesso marzo. Convinti quindi di ricevere l’aiuto piemontese di lì a breve, i bresciani si ribellarono armi in pugno dando vita ad una insurrezione che coinvolse l’intera città. Il 23 marzo alcuni carri che trasportavano legna per il castello presidiato dagli austriaci, furono presi d’assalto dalla folla che cominciò poi a strappare le insegne imperiali dagli edifici inneggiando al Piemonte e a Carlo Alberto; era il primo giorno della rivolta.

Il giorno 24 gli austriaci, che presidiavano la città con 560 soldati, cominciarono a cannoneggiare il centro cittadino con le artiglierie piazzate al castello, posizione dalla quale si dominava l’intera Brescia; durante tutte le dieci giornate caddero sulla città ben 950 palle di cannone. In risposta, i bresciani cominciarono ed erigere barricate per prepararsi alla lotta, mentre da Verona e Mantova arrivarono 2.000 austriaci di rinforzo, comandati dal generale Nugent. Giunti in città, i rinforzi austriaci furono bloccati dalla tenace resistenza dei cittadini bresciani, nonostante il cannoneggiamento dal castello divenisse sempre più violento; il 27, le palle di cannone austriache danneggiarono molti edifici pubblici, trai quali il Duomo. Il 28 i bresciani cercarono di contrattaccare tentando di colpire gli austriaci asserragliati nel castello, e mentre la lotta continuava ed il bombardamento austriaco cercava di colpire le barricate, gli imperiali completarono lo schieramento dei rinforzi fino a che il 30 marzo la città fu completamente accerchiata da ben 6.500 uomini. Il 31 giunse a Brescia il generale austriaco Haynau (Nugent era stato ferito a morte durante i combattimenti), il cui nome rimarrà per sempre e tristemente famoso nella storia della città, e tra poco scopriremo perché. Ormai i bresciani, circondati, sotto un continuo bombardamento e senza speranza di ricevere soccorso (purtroppo come sappiamo i piemontesi non arriveranno mai), furono costretti ad arrendersi. Si arrivò quindi all’epilogo, che non è un punto al termine della nostra narrazione, ma purtroppo per Brescia e i suoi eroici abitanti fu l’inizio della tragedia. Una volta che il 1° di aprile (decimo giorno dall’inizio della rivolta) ebbe fine lotta, i soldati austriaci si diedero, su ordine del generale Haynau, al saccheggio della città, infierendo brutalmente e senza pietà sulla popolazione.

Molti degli insorti furono fatti prigionieri, rinchiusi nel castello e fucilati nei fossati, mentre altri furono fucilati a gruppi in città; i soldati fecero irruzione nelle abitazioni e se trovavano delle armi (anche solo da taglio), i maschi venivano immediatamente uccisi e la casa data alle fiamme; inutile dire quale sorte toccò a molte donne bresciane. Alcuni soldati si divertirono, armati di pece, ad inseguire la gente per le strade, cospargendo i malcapitati con la sostanza infiammabile e dando loro fuoco. Le violenze della soldataglia austriaca continuarono fino al 12 agosto, e le sentenze di condanna a morte per i rivoltosi vennero pronunciate fino al successivo mese di settembre. Tanto per rendere l’idea della violenza della repressione austriaca, i cittadini morti durante i dieci giorni di combattimenti furono 378, ma con le cifre delle vittime della rappresaglia, il totale dei bresciani uccisi arriva alla tragica cifra di 1.000. Per la ferocia dimostrata nel punire la città ribelle, il generale Haynau si guadagnò l’appellativo di “Iena di Brescia”. Il comandante austriaco ammise però che il valore e l’accanimento dei cittadini bresciani fu degno di ammirazione, tanto che nelle proprie memorie scrisse: “Avessi avuto io tremila di questi inferociti ed indemoniati bresciani, Parigi sarebbe stata mia in breve tempo”. La cittadinanza dovette poi pagare la multa la cui imposizione era stata la causa scatenante la rivolta, ma questa volta il provvedimento fu esteso anche alle città della provincia, anche se queste non avevano preso parte alla ribellione; per la cronaca, la cifra iniziale per l’epoca già esorbitante di 520.000 lire, fu innalzata a 6 milioni. Il giovane Tito Speri, che aveva guidato eroicamente i bresciani sul campo, verrà arrestato anni dopo, condannato a morte e impiccato nel 1853.

L’eroismo ed il valore dimostrato dai bresciani furono enormi, tanto che alcuni anni più tardi Giosuè Carducci conierà in un suo componimento l’appellativo che Brescia meritò dopo le gloriose e tragiche Dieci Giornate: da quel momento in poi la valorosa città lombarda verrà soprannominata la “Leonessa d’Italia”.

E quando l’epidemia di coronavirus sarà finita, Brescia saprà risollevarsi come fece dopo il tragico epilogo delle Dieci Giornate; è solo questione di tempo e l’eroica città lombarda, ne siamo sicuri, saprà rialzarsi più forte di prima.

Marco Ammendola

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Marco Amendola

Anche se faccio tutt'altro lavoro, sono da sempre appassionato di storia, un romanzo talmente avvincente che non necessita di un finale a sorpresa
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