Storia

L’indovinello veronese: le origini della lingua italiana? Forse è troppo presto

Poche righe redatte in una lingua già abbastanza “volgare”, ma ancora molto latina

Pensando alla nascita della lingua italiana, il primo nome che balza alla mente è naturalmente quello di Dante, colui che tra il 1306 ed il 1321, con i versi della sua Commedia, si guadagnò il titolo di “padre” della nostra lingua nazionale. In realtà il primo documento che attesta l’uso di una lingua scritta diversa dal latino è ben più antico rispetto all’opera dantesca, ma la sua adozione come primo testo scritto in volgare italiano è controversa. Partiamo intanto dall’inizio.

Man mano che ad opera degli eserciti romani prendeva forma il nucleo di quello che diverrà l’impero dei cesari, la lingua dei conquistatori si impose sulle lingue autoctone, prima in termini di bilinguismo, e successivamente andando a sostituirsi ad esse. Con la fine dell’Impero d’Occidente e le invasioni barbariche a partire dalla seconda metà del V secolo, il latino parlato subì una lenta trasformazione dovuta all’influenza delle lingue dei nuovi dominatori barbari;in questo modo si differenziarono le varie lingue che vengono designate come neolatine, data la loro comune matrice risalente al latino delle origini (italiano, francese, provenzale, spagnolo, catalano, portoghese, rumeno e ladino).Nel caso specifico dell’Italia, si passò dal latino al volgare italiano, e da questo all’italiano vero e proprio (va però sottolineato come durante tutta questa fase sopravvisse l’uso del latino scritto come lingua ufficiale per gli intellettuali e i letterati, nella Chiesa, e nel linguaggio burocratico e diplomatico). Naturalmente il processo fu lungo e complesso, passando dal latino classico al mediolatino, ossia un latino che si era andato modificando e certamente non era più quello di Cicerone e di Virgilio.

Il primo esempio di lingua scritta non più latina è il cosiddetto “indovinello veronese”, un breve testo redatto a margine della pagina di un antico codice tra l’VIII ed il IX secolo, ad opera di un monaco amanuense (forse durante un momento di pausa nel suo lavoro di copista), che fu rinvenuto presso la Biblioteca Capitolare di Verona nel 1924

“se pareba boves, alba pratàlia aràba et albo versòrio teneba, et negro sèmen seminaba”

La soluzione dell’indovinello è: spingeva innanzi a sé i buoi (se pareba boves), ossia le proprie dita; bianchi prati arava (alba pratàlia araba), ovvero il foglio su cui stava scrivendo; ed un bianco aratro teneva (et albo versòrio teneba), cioè la penna d’oca con cui stava scrivendo; ed un nero seme seminava (et negro sèmen seminaba), ovvero l’inchiostro che stava lasciando sulla carta

“spingeva innanzi a se i buoi, bianchi prati arava, ed un bianco aratro teneva, ed un nero seme seminava”

Il testo è molto divertente, e consiste sostanzialmente in un gesto autoreferenziale del monaco rispetto al suo atto di scrivere: le sue dita sono i buoi che nel far scorrere la penna-aratro arano il campo-foglio di carta seminando il nero seme, ossia l’inchiostro.

Questo testo potrebbe anche essere considerato il primo esempio di volgare scritto, ma non tutti gli studiosi sono concordi, dato che certamente si tratta in una lingua che non è più latino (infatti nei verbi manca la -t finale), ma a quest’ultimo è ancora decisamente legato (la -b di aràba non è ancora diventata la -v del volgare italiano vero e proprio); e difatti l’indovinello per poter essere compreso necessita di una traduzione, e questo in quanto la scrittura non è ancora abbastanza distante dalla sintassi latina. Insomma, più che un proto italiano si tratta piuttosto di un tardo latino.

Non un punto di svolta dunque rispetto al latino, ma l’indovinello rappresenta comunque la fase embrionale di un lingua volgare che muoveva i suoi primi passi, anche se il cordone ombelicale che la legava al latino da cui era stata generata non era ancora stato reciso del tutto. Il taglio netto avverrà poco più tardi col testo di un atto giudiziario che, questa volta si, rappresenta il primo esempio di un volgare che dalla matrice latina si era ormai decisamente affrancato. Vedremo il contenuto di questo scritto e ne conosceremo la storia nel prossimo articolo.

Marco Ammendola

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Marco Amendola

Anche se faccio tutt'altro lavoro, sono da sempre appassionato di storia, un romanzo talmente avvincente che non necessita di un finale a sorpresa
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