Storia

Lo Statuto Albertino: dal 1848 la Carta costituzionale che fece l’Italia

La prima “Costituzione” dell’Italia unita e le sue caratteristiche fondamentali

Continuiamo con questo articolo la disamina di alcuni dei più importanti documenti giuridici che hanno avuto un peso storico (abbiamo parlato in precedenza della Magna Carta, della Legge Salica e del Codice di Hammurabi), entrando nello specifico della storia d’Italia recente; e lo faremo con lo Statuto Albertino, ossia con quella che sarà la carta costituzionale del regno di Sardegna dal 4 marzo del 1848, data della sua promulgazione, e del Regno d’Italia fino al referendum istituzionale del 2 giugno del 1946.

Durante la stagione rivoluzionaria del 1848, i sovrani degli stati italiani furono indotti a concedere delle costituzioni che ponessero fine all’assolutismo monarchico e dessero vita a regimi rappresentativi; così fu nel Regno delle Due Sicilie, nel Gran Ducato di Toscana, ed in Piemonte (a Roma fu poi abbattuto il papa re Pio IX e data vita addirittura ad una repubblica democratica). La rivoluzione fu però sconfitta, e i sovrani, tornati in possesso del loro potere assoluto grazie all’aiuto degli eserciti francese ed austriaco, si affrettarono a rimangiarsi la parola e ad abolire le costituzioni concesse. Unica eccezione fu il Regno di Sardegna dei Savoia. Carlo Alberto, che aveva concesso quello che passerà alla storia come lo Statuto Albertino, dovette abdicare dopo la sconfitta di Novara (23 marzo 1849), ma suo figlio Vittorio Emanuele riuscirà ad ottenere che tra le clausole del trattato di pace con l’Austria non vi fosse l’abolizione del regime liberale nato grazie allo Statuto concesso da suo padre.

Verrebbe da chiedersi quali potessero essere i motivi per i quali un monarca, che sotto la spinta degli avvenimenti politico-militari avrebbe potuto tornare in possesso del potere assoluto, spingesse per il mantenimento di un regime costituzionale che ne limitava fortemente i poteri; e non si pensi ad un atto dettato da un momento di debolezza, dato che se i liberali e i democratici avessero avuto l’intenzione di mettersi muro contro muro contro il sovrano qualora questi avesse voluto ripristinare il regime assolutista, vi era l’esercito austriaco vincitore pronto a marciare su Torino. La realtà fu che Vittorio Emanuele fece una scelta lungimirante che nel medio periodo si rivelò decisamente felice. Difatti il Piemonte, grazia a questa scelta politica, divenne il rifugio di tutti quei patrioti che avevano preso parte alle vicende del ’48 e che, provenienti da ogni parte d’Italia, trovarono scampo dalle persecuzioni dei restaurati regimi assolutisti: nel periodo tra le due guerre d’indipendenza (quella del 1848-’49 e quella del 1859), a Torino si sentivano gli accenti di tutta la penisola, data la massiccia presenza di quei lombardi, napoletani, romani, toscani, siciliani e veneti che grazie alla politica liberale dei Savoia poterono continuare a sperare nella continuazione della lotta per l’indipendenza e l’Unità d’Italia, accolti in quel Piemonte sabaudo che grazie alla scelta liberale di Vittorio Emanuele era divenuto la guida del processo risorgimentale.

Vediamo quindi la struttura ed i contenuti dello Statuto concesso da re Carlo Alberto, dal quale prende il nome.

Innanzitutto bisogna specificare che la dicitura “statuto” al posto di “costituzione” trova giustificazione nel fatto che esso non si poneva al di sopra delle leggi ordinarie come invece avviene per le costituzioni, ma era allo stesso rango rispetto ad esse. Questo significa che per modificarne i contenuti non era necessario un processo parlamentare specifico, ma era sufficiente seguire un normale percorso legislativo; questo può far apparire lo Statuto come “più debole” rispetto ad una vera e propria costituzione, ma esso era stato comunque promulgato come una “legge perpetua della monarchia” che legava politicamente il sovrano a rispettarlo (il re giurava di osservare lealmente lo Statuto davanti alle Camere riunite). Il fatto poi di non richiedere alcuna procedura particolare per modificarlo, spiega come mai lo Statuto sia rimasto in vigore durante il periodo della dittatura fascista senza essere abolito.

Lo Statuto Albertino era strutturato su pochi articoli (81) che sancivano dei principi fondamentali (ovviamente la sovranità non apparteneva al popolo ma al re), principalmente riguardanti le libertà del cittadino. Innanzitutto lo Stato riconosceva la libertà di culto, fatto questo particolarmente importante nel caso del Piemonte, dove storicamente vi era sempre stata una nutrita comunità valdese; e per la prima volta in Italia venivano riconosciuti i diritti civili e politici agli ebrei. Erano garantite la libertà di stampa e l’habeas corpus, ossia il diritto alla libertà personale in assenza di un’iniziativa di tipo giudiziario, vale a dire l’impossibilità da parte dell’autorità di polizia di detenere un cittadino senza l’autorizzazione di un giudice. Venivano inoltre garantite la libertà di riunione, l’inviolabilità della proprietà privata, l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, nonché i diritti civili e politici.

Riguardo l’organizzazione ed il funzionamento delle istituzioni, lo Statuto prevedeva un Parlamento bicamerale con una Camera elettiva ed un Senato di nomina régia; il sovrano aveva il potere di sciogliere le Camere, ma con l’obbligo di indire nuove elezioni entro un termine di quattro mesi. Naturalmente il re era formalmente il comandante supremo delle forze armate ed aveva facoltà di proporre al Parlamento nuove leggi, purché non fossero di carattere fiscale. Altro fatto importante da sottolineare è che lo Statuto escludeva qualunque possibilità di compenso per deputati e senatori, fatto questo che al giorno d’oggi può apparire come positivo, ma in realtà non lo era; difatti, tale limite faceva si che solo coloro che disponevano di rendite tali da non dover lavorare durante il mandato potessero essere eletti, limitando in questo modo l’eleggibilità e destinandola solo ad una ristretta cerchia di cittadini. Lo Statuto non prevedeva il suffragio universale, ma il diritto di voto era concesso inizialmente solo ai cittadini maschi sopra i venticinque anni di età, capaci di leggere e scrivere e che avessero un certo reddito, ossia era in vigore quello che va sotto il nome di suffragio censitario; nel 1882 il limite imposto dal censo verrà abolito, ma continueranno ad essere esclusi dal diritto di voto gli analfabeti. Quest’altro limite verrà poi superato nel 1912 e nel 1921 verrà introdotto quel suffragio universale maschile che porterà la liberal democrazia italiana allo stesso livello delle altre europee.

Nello Statuto non si davano indicazioni esplicite riguardo il rapporto intercorrente tra Governo e Parlamento, ma i Savoia adottarono come politica quella di non mantenere in vita governi che non godessero dell’appoggio parlamentare; la nomina dei ministri spettava al re senza che questi dovesse consultarsi con alcuno, ma anche qui vi era una consuetudine che prevedeva che il sovrano decidesse le nomine congiuntamente col Presidente del Consiglio. Lo Statuto era poi, come abbiamo detto, una carta costituzionale flessibile, non necessitando di un iter parlamentare dedicato per le eventuali modifiche; e difatti, negli anni si andrà verso una sempre più spinta “parlamentarizzazione” della vita politica nazionale, soprattutto grazie alle modifiche apportate nel periodo dei governi Cavour, con una progressiva diminuzione dei margini di discrezionalità del sovrano, a favore di una maggiore acquisizione di poteri da parte del Parlamento. In questo modo l’Italia si doterà in breve tempo una democrazia compiutamente liberale al pari di quella inglese e francese.

Naturalmente le cose cambieranno con l’avvento del fascismo. Durante il Ventennio lo Statuto rimarrà formalmente in vigore, ma i suoi articoli saranno validi solo sulla carta; le libertà verranno soppresse e la monarchia, che la carta costituzionale vedeva come punto di riferimento della vita dello Stato, verrà gradualmente scavalcata dal partito unico fascista e da Mussolini stesso. Inoltre, il Governo veniva completamente svincolato da ogni responsabilità politica rispetto al Parlamento e quindi rispetto al popolo, della cui volontà il Parlamento era rappresentativo.

Lo Statuto Albertino fu una carta costituzionale piuttosto longeva, essendo rimasta in vigore (a partire dal Regno di Sardegna e poi nel Regno d’Italia) per quasi un secolo; esso garantì lo sviluppo di quel sistema politico che fece del Piemonte dei Savoia il punto di riferimento e la guida del movimento risorgimentale, e successivamente permetterà il consolidamento e lo sviluppo politico ed economico dell’Italia liberale.

Nel periodo successivo al referendum istituzionale che sancirà la fine della monarchia e l’avvento della repubblica, verrà adottato un regime costituzionale transitorio fino all’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana il 1° gennaio del 1948, cento anni esatti dopo la promulgazione dello Statuto Albertino.

Marco Ammendola

Nell’immagine: Carlo Alberto di Savoia

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Marco Amendola

Anche se faccio tutt'altro lavoro, sono da sempre appassionato di storia, un romanzo talmente avvincente che non necessita di un finale a sorpresa
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