Storia

Poltava, 28 giugno 1709: la Russia vince e diventa protagonista in Europa

Pietro il Grande schiaccia la nemica Svezia e diventa padrone del Baltico

Nell’articolo su Pietro I il Grande abbiamo parlato di come questo zar abbia lasciato un’impronta indelebile nella storia russa, portando avanti con ostinazione una serie di riforme che hanno fatto uscire la Russia dal suo lungo medioevo, traghettandola nell’epoca moderna e nel novero delle grandi potenze europee. Abbiamo quindi accennato alla più importante battaglia della storia di Pietro I, e più in generale della storia russa, una grande battaglia combattuta vicino una città sita nel cuore dell’Ucraina: Poltava.

La battaglia di cui ci accingiamo a parlare, rientra nel complicato quadro della guerra che si stava combattendo agli inizi del ‘700 per il controllo di un mare sul quale si affacciavano varie nazioni che se ne contendevano il controllo, ossia il Baltico. In realtà, pur trattandosi di conflitti per il controllo di un mare, le guerre che per esso si combatterono furono soprattutto combattute su fronti terrestri più che marini; i contendenti per il dominio di quel mare erano la Svezia, la Danimarca, il Brandeburgo (la futura Prussia), la Polonia, e la Russia di Pietro I.

Il periodo precedente quello della battaglia di Poltava, aveva visto nascere e crescere la potenza svedese, che era uscita dalla Guerra dei Trent’Anni (1618-1648) vedendosi assicurata il controllo delle foci dei tre maggiori fiumi tedeschi, l’Oder, l’Elba e il Weser, nonché delle tre ricche città commerciali di Stettino, Stralsund e Brema. Ciò sta a significare che la Svezia era ad un tratto divenuta la potenza egemone nel Baltico cosa che, naturalmente, aveva fatto si che i suoi vicini le divenissero decisamente ostili, anche perché la Svezia assunse questo ruolo da dominatrice dell’area baltica pur essendo una nazione tutto sommato non ricca e di solamente un milione e mezzo di abitanti. Ora, dopo che una serie di sovrani avevano rafforzato la nazione svedese e creato un potente e moderno esercito nazionale, il nuovo re Carlo XII decise di ribadire la supremazia del proprio regno sui suoi nemici: sconfisse i danesi, i russi, invase la Polonia, per poi riavventarsi sul gigante russo ed infliggergli il colpo di grazia.

Pietro I ”accolse” l’esercito svedese con la classica strategia russa della terra bruciata, facendo trovare al nemico avanzante in Ucraina solo terre distrutte e prive di qualunque forma di sostentamento utile all’armata di Carlo XII. Il sovrano svedese dal conto suo aveva basato la campagna di aggressione della Russia su una base di supposizioni che si rivelarono tutte errate: dava per scontato che una colonna di rifornimenti di 7.000 carri (indispensabili per il suo esercito messo in crisi dalla tattica russa della terra bruciata) lo raggiungesse, ma fu intercettata e distrutta dai russi; confidava sul fatto che l’Ucraina sarebbe insorta contro lo zar, ma ciò non accadde; e per di più il giovane sovrano svedese si accingeva ad affrontare l’esercito di Pietro I ritenendolo un’armata di scarso valore, che non avrebbe potuto reggere il confronto col suo potente e moderno esercito in una grande battaglia campale.

Fu così che l’armata svedese si diresse verso la cittadina ucraina di Poltava, una città fortificata in cui i russi avevano accumulato una grande quantità di viveri e materiali, che avrebbero potuto approvvigionare l’armata di Carlo XII, e in questo modo consentirgli di marciare su Mosca. Ma inaspettatamente la piccola guarnigione russa resistette dando così il tempo a Pietro I di giungere in soccorso ed affrontare l’invasore svedese (ricordiamo che si stavano per affrontare non solo due potenze che so contendevano il dominio del Baltico, ma anche due nazioni di cui una protestante e l’altra ortodossa, per cui lo spirito dei combattenti era animato anche dalla questione religiosa).

L’esercito russo a Poltava era composto da 61 battaglioni di fanteria e 23 reggimenti di cavalleria, per un totale di 42.000 uomini, più 100 cannoni. Carlo XII era partito per la campagna contro Pietro con un esercito di 42.000 uomini, ma la fame, le malattie e le estenuanti marce nelle pianure ucraine ne avevano assottigliato i ranghi fino a ridurlo ad una forza complessiva di 24.000 uomini, con appena una decina di cannoni; Carlo faceva però affidamento sulla superiorità qualitativa e tecnica dei suoi soldati rispetto a quelli russi.

Conscio dell’inferiorità qualitativa del proprio esercito rispetto a quello svedese, Pietro I pose in essere tutta una serie di accorgimenti che gli permisero di compensare il divario con l’avversario: trincerò il proprio campo piazzandolo in una posizione tale per cui gli svedesi avrebbero dovuto necessariamente attraversare una fascia di terreno posta tra due boschi intransitabili, venendo costretti in uno spazio angusto e posti allo scoperto rispetto ad un nemico fortificato. Per di più, essendo stato ferito in un precedente scontro, Carlo non poteva cavalcare e quindi era impossibilitato a muoversi sul fronte del campo di battaglia, venendogli così a mancare una visione d’insieme del combattimento in corso, oltre all’impossibilità di poter essere presente in mezzo ai suoi soldati per incitarli con la propria presenza (Carlo guidò il proprio esercito trasportato su una lettiga).

Siamo quindi allo scontro. Nella notte tra il 27 ed il 28 giugno del 1709, Carlo decise di muovere rapidamente verso i russi per sfruttare il fattore sorpresa decisivo contro un nemico in forte superiorità numerica; per rendere più agile e rapida la sua manovra, non si portò dietro i cannoni di cui disponeva. Avanzando, l’esercito svedese si frazionò in due ali, che diedero inizio ad un assalto scoordinato in cui la sinistra superò di slancio le posizioni russe, mentre la destra fu bloccata davanti alle fortificazioni nemiche rimanendo isolata e quindi caricata in forze e annientata dal nemico. Nel frattempo l’ala sinistra svedese avanzante, con 4.000 fanti e la cavalleria ai fianchi, si trovò davanti il resto dell’esercito russo schierato con 40.000 uomini e protetto dal fuoco di cento cannoni. Si accese una mischia furibonda in cui i fanti e i cavalieri svedesi si batterono con grande coraggio, riuscendo anche a sfondare la prima linea russa, ma furono poi fagocitati dal gran massa dei soldati nemici. I pochi svedesi sopravvissuti fuggirono rincorsi dalla cavalleria russa che li sciabolava senza pietà.

Sul campo di battaglia di Poltava rimasero 9.000 svedesi, e 2.800 furono presi prigionieri (tra cui un feldmresciallo, quattro generali e cinque colonnelli); lo stesso Carlo fu tratto in salvo dai suoi ufficiali dopo che un colpo di cannone russo colpì il suo trasporto, riuscendo a fuggire verso i territori dell’Impero Ottomano. I russi persero 1.300 uomini.

La vittoria di Poltava fu di enorme portata per lo zar Pietro, sia per il prestigio che gli valse di fronte all’Europa intera sia per le conseguenze strategiche che ebbe sul lungo periodo: la Russia aveva ora preso il posto della Svezia come dominatrice del Baltico (da quel momento in poi la Svezia non sarà più una potenza baltica, ma dovrà accontentarsi dell’egemonia nell’area scandinava); l’Ucraina, con le sue immense distese di campi coltivati a grano, era oramai definitivamente assoggettata; e i confini della nuova Russia di Pietro il Grande si erano oramai spinti decisamente verso occidente, avvicinandosi così al cuore di quell’Europa che da quel momento in poi avrebbe dovuto fare i conti con una nuova potente nazione divenuta protagonista sul palcoscenico del vecchio continente.

Marco Ammendola

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Marco Amendola

Anche se faccio tutt'altro lavoro, sono da sempre appassionato di storia, un romanzo talmente avvincente che non necessita di un finale a sorpresa

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