Affari legali

AFFARI LEGALI. Divorzio con addebito: il coniuge responsabile la fa franca lo stesso

Ecco quanto disposto alcuni giorni fa dalla Suprema Corte

Quasi un anno fa, in un pezzo di questa rubrica si è parlato di pensione di reversibilità e dei requisiti per poterne beneficiare, soffermandosi in particolare sull’ipotesi in cui il titolare originario del trattamento pensionistico abbia dapprima divorziato, per poi contrarre nuovo matrimonio.

Sul punto, era stata menzionata una nota sentenza in cui si delineavano quattro parametri secondo i quali la somma in questione dovrebbe essere suddivisa fra il primo coniuge e quello cui il pensionato defunto era invece legato al momento del decesso.

Un primo criterio si è detto dovesse basarsi sul principio di proporzionalità, tenendo conto quindi della durata dei rispettivi matrimoni; tre ulteriori indicatori, ossia l’entità dell’assegno divorzile di mantenimento riconosciuto all’ex coniuge, le condizioni economiche dei due superstiti e la durata delle eventuali, rispettive convivenze prematrimoniali, sono fondamentali per quantificare l’importo da attribuire all’ex coniuge ormai divorziato e a quello vedovo.

La giurisprudenza, è fatto ormai conosciuto, non riconosce l’assegno di mantenimento al soggetto cui è stata addebitata la separazione, perché accertata giudizialmente la sua responsabilità circa il naufragio del rapporto matrimoniale; ma per ciò che concerne la pensione di reversibilità, la faccenda è ben diversa, in quanto al coniuge “colpevole” spetta comunque una quota mensile, a dispetto delle ferventi polemiche.

La Suprema Corte, con sentenza n.2606 del 2.02.2018, ma pubblicata pochi giorni fa, rifacendosi ad una pronuncia del lontano 1987, ha chiarito una volta per tutte come “tale pensione va riconosciuta al coniuge separato per colpa o con addebito, equiparato sotto ogni profili al coniuge superstite (separato o non) e in favore del quale opera la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte”.

Si sottolinea perciò che per l’ex coniuge superstite, unica condizione per l’ottenimento della quota di assegno di reversibilità è che egli non abbia, a propria volta, contratto nuovo matrimonio. In tale, ultimo caso il diritto alla percezione dell’indennità di cui si discute andrà irrimediabilmente perduto, anche qualora il secondo vincolo matrimoniale dovesse comunque cessare.

Non si può che rilevare l’oggettiva compressione, in questo peculiare settore, della facoltà di autodeterminazione dei consociati, i quali – in buona sostanza – non si liberano definitivamente dell’ex coniuge neppure dopo essere passati a miglior vita. Alla faccia del progresso.

Roberta Romeo

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