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AFFARI LEGALI. Nascita indesiderata: quando spetta il risarcimento e quando viene negato

Ecco cosa afferma la legge

Quest’oggi riprendiamo le fila di un discorso iniziato molti mesi fa e sul quale si è tornati nell’ultimo articolo di questa rubrica, ossia della possibilità di vedersi riconoscere il risarcimento del danno in caso di nascita indesiderata.

Preliminarmente si ribadisce come occorra distinguere tra le ipotesi in cui sia venuto al mondo un feto inaspettatamente affetto da malformazioni e quelle in cui – in modo analogo a quanto avvenuto nella fattispecie concreta descritta nel pezzo precedente – non si intendesse affatto avere un bambino, ma per errore del medico curante ciò sia avvenuto comunque.

Nella prima eventualità, ad un orientamento che sosteneva si potesse ritenere sufficiente la mera dichiarazione della donna con cui la stessa riferisse che – se correttamente informata sulle condizioni del piccolo, avrebbe interrotto la gravidanza – se ne contrapponeva un altro ad avviso del quale invece, in assenza di un’equivocabile manifestazione della volontà di non portare a termine la gravidanza qualora vi fossero malformazioni del bambino, non fosse scontato il diritto al risarcimento del danno, dovendosi quindi esaminare ogni singolo caso.

Proprio sul punto, a suo tempo le Sezioni Unite hanno rilevato che l’onere della prova non possa essere così gravoso e ricadere interamente sulla gestante, costretta a dimostrare, oltre alle anomalie del bambino, anche l’omissione del personale sanitario in merito alle informazioni sulla salute del feto, la lesione del proprio benessere psico-fisico nonché la circostanza che se le fossero stati tempestivamente comunicati i problemi del piccolo, non avrebbe portato avanti la gravidanza.

Malgrado la Suprema Corte a tal proposito abbia osservato che quello ascrivibile al mancato esercizio del diritto di abortire non sia un danno in re ipsa (di per sé), si è comunque giunti alla conclusione che non sia fattibile escludere a priori la possibilità di una prova di tipo presuntivo.

Se quindi a madre e padre di bimbi nati con handicap fisici non correttamente individuati dal personale sanitario, la giurisprudenza degli ultimi anni ha spesso riconosciuto il risarcimento del danno, al nascituro è stato di converso sempre negato. Se il danno infatti non fosse stato provocato, se dunque si considera che se i medici avessero informato la madre in ordine alle problematiche del feto, la stessa avrebbe optato per l’aborto, il soggetto teoricamente da risarcire non sarebbe in vita.

L’assenza di danno in questa prospettiva, corrisponde inevitabilmente alla non-vita, concetto non tollerabile dal nostro ordinamento, che invero non contempla un diritto a non nascere, se non sani.

Tornando alla vicenda della donna alla quale il proprio curante ha prescritto per errore un farmaco adatto alla terapia ormonale in luogo di un banale contraccettivo, l’organo giudicante ha deciso di accogliere la richiesta di risarcimento sulla scorta della considerazione che non sia possibile ritenere responsabile la paziente per non aver verificato l’effettiva funzione del medicinale prescritto.

E’ infatti specifico obbligo del dottore cui ci si affida, quello di conoscere principi attivi e finalità dei prodotti che prescrive ai pazienti, non sono certo questi ultimi a dover ratificare l’operato del professionista.

Il Tribunale di Milano ha sottolineato anche come il nostro sistema normativo garantisca ai cittadini il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, che affonda le proprie radici prima di tutto nella Costituzione.

Roberta Romeo

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