Affari legali

AFFARI LEGALI. Navigare in internet durante l’orario di lavoro

Quali possono essere le conseguenze?

Nell’era in cui gente di tutte le età trascorre maggior tempo sui social network di quante non ne passi a scambiare quattro chiacchiere di persona con gli amici più cari, non è così infrequente che sul posto di lavoro si abusi della connessione internet per scopi assolutamente estranei all’esercizio delle proprie mansioni.

E’ infatti assai diffusa quella che i medici definiscono in inglese Internet addiction disorder, vera e propria dipendenza legata all’utilizzo spasmodico ed ossessivo della rete, che non risparmia neppure soggetti adulti con grandi responsabilità.

Moltissimi sono stati negli ultimi anni i licenziamenti irrogati a lavoratori intenti nella navigazione on line, ma in questa sede citeremo a titolo meramente esemplificativo un caso risalente alla scorsa estate. Nella vicenda in esame, il malcapitato in questione ha impugnato il licenziamento sollevando una serie di eccezioni, tra cui la circostanza che la condotta contestatagli non fosse esplicitamente enucleata nel regolamento comportamentale affisso in azienda e che fosse stata violata dal datore di lavoro la sua privacy, avendo quest’ultimo effettuato una verifica degli accessi ad internet da parte del proprio dipendente.

La Suprema Corte, che ha respinto il ricorso dando ragione all’imprenditore, ha preliminarmente ricordato come ormai sia pacifico il principio secondo il quale l’onere di pubblicità del cosiddetto codice disciplinare si applichi al licenziamento “soltanto nei limiti in cui questo sia stato intimato per una delle specifiche ipotesi di comportamento illecito vietate e sanzionate con il provvedimento espulsivo da norme della contrattazione collettiva o da quelle validamente poste dal datore di lavoro – entrambe soggette all’obbligo della pubblicità per l’esigenza di tutelare il lavoratore contro il rischio di incorrere nel licenziamento per fatti da lui non preventivamente conosciuti come mancanze – e non anche quando, senza avvalersi di una di queste specifiche ipotesi, il datore di lavoro contesti un comportamento che, secondo quanto accertato in fatto dal giudice di merito, integri una violazione di una norma penale, o sia manifestamente contrario all’etica comune, ovvero concreti un grave o comunque notevole inadempimento dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro, quali sono gli obblighi di diligenza e di fedeltà prescritti dall’art. 2104 e 2105 c.c., poiché in tali casi il potere di licenziamento deriva direttamente dalla legge”.

In secondo luogo, la Cassazione ha evidenziato, al di là dei ragionamenti di natura squisitamente tecnico-giuridica, che i dettagli del traffico contestati in forma scritta al dipendente (nello specifico la data, l’orario o la durata della connessione) non possano essere annoverati tra i “dati personali”, non essendo in alcun modo inerenti alle idee politiche, culturali o religiose del lavoratore né tanto meno alle sue eventuali attitudini sessuali.

In conclusione, un consolidato orientamento giurisprudenziale esclude la reintegra nel posto di lavoro di coloro che sono stati allontanati dall’impresa per aver utilizzato la strumentazione affidata loro, per scopi non connessi all’attività svolta e palesemente lesivi degli interessi aziendali.

Roberta Romeo

Studio legale EGIDI
Via Lomellina n. 31 – MILANO –
Tel. 02.28381582

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Antonio Marino

Cinquantunenne ma con lo spirito da eterno ragazzo. Adoro la compagnia degli amici con la 'A' maiuscola, la buona tavola e le buone birre. Appassionato di politica ma quella con la 'P' maiuscola, sposato più che felicemente. Difetti: sono pignolo. Pregi: sono pignolo

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