Affari legali

AFFARI LEGALI. Si torna a parlare di patto di quota lite

Un cammino tra sentenze apparentemente discordanti

La scorsa settimana abbiamo affrontato il tema del cosiddetto “patto di quota lite” stipulato tra il legale ed il proprio assistito, che consiste in un accordo con cui quest’ultimo acconsente, a giudizio terminato, a versare una determinata somma – solitamente espressa in percentuale – al difensore che gli abbia fatto conseguire il risultato prefissato.

Abbiamo visto anche che, nel corso degli anni, si è man mano arrivati a stabilire l’illiceità di questi patti, ma anche questa conclusione non è del tutto corretta, se si tiene conto che in realtà si è cristallizzato il principio secondo il quale sia consentito all’avvocato valutare il proprio compenso parametrandolo al concreto risultato perseguito, purché rispetti il divieto sancito dall’art. 1261 c.c. in ordine alla cedibilità del credito e la quantificazione degli onorari sia proporzionata all’attività nel concreto effettuata.

Con una sentenza del novembre 2014, la Suprema Corte ha chiarito come “con il prescrivere che gli accordi sulla definizione del compenso siano proporzionati all’attività svolta, l’art.45 del codice deontologico non abbia individuato in astratto una quota oltre la quale il patto sarebbe da ritenersi tout court eccessivo e la sua stipulazione illecita sotto l’aspetto disciplinare, ma abbia invece optato per una valutazione in concreto dell’incongruità della quota al momento del confronto tra l’obiettivo raggiunto e l’attività svolta”.

Nel caso di specie, infatti, la Cassazione ha ritenuto decisamente sproporzionata la percentuale contenuta nel patto che il legale intendeva far valere in giudizio poiché la pratica oggetto dell’incarico conferito era di indubbia semplicità e dall’esito positivo quanto mai scontato.

Altra circostanza presa in esame dagli Ermellini, quella inerente all’invalidità (pari addirittura al 95%) del cliente in questione, il quale, oltre a versare in condizioni psico-fisiche gravemente menomate, con conseguenti, obiettive difficoltà rispetto ad una compiuta e completa comprensione, presentava oggettive barriere anche dal punto di vista linguistico.

Nel caso specifico appena esposto, dunque, non sorprende che la percentuale pattuita sia stata considerata abnorme e non giustificata, ma ciò non significa che nell’ambito di una causa diversa, connotata da un certo grado di complessità e con un’incertezza circa la pronuncia favorevole dell’organo giudicante, il 30% sulla somma realizzata sarebbe stato considerato un importo esagerato.

Ci troviamo quindi ancora una volta sul terreno dell’incertezza, purtroppo assai familiare al mondo del diritto.

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Roberta Romeo

Studio legale EGIDI
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Antonio Marino

Cinquantunenne ma con lo spirito da eterno ragazzo. Adoro la compagnia degli amici con la 'A' maiuscola, la buona tavola e le buone birre. Appassionato di politica ma quella con la 'P' maiuscola, sposato più che felicemente. Difetti: sono pignolo. Pregi: sono pignolo

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