Storia

Anno 490 a.C.: a Maratona i greci battono i persiani; l’occidente è salvo

Una battaglia cruciale per le sorti del mondo antico e per la cultura occidentale

Dopo aver passato in rassegna nel precedente articolo le cause del conflitto tra greci e persiani, ci soffermeremo ora sulla battaglia che ebbe luogo a Maratona e su ciò che il suo esito ha comportato per la storia del mondo antico.

Rimandando le caratteristiche degli eserciti greci e la loro tattica di combattimento al relativo articolo, vediamo brevemente come era costituito l’esercito persiano e quali erano le armi e le tattiche che venivano utilizzate.

La struttura dell’esercito di Dario rispecchiava la composizione multietnica del suo vastissimo impero, essendo i soldati effettivamente persiani solo una ristretta minoranza, mentre il resto dell’armata era costituito da asiatici, egizi, etiopi, e dalle altre etnie sottomesse ai persiani, soldati che combattevano solo perché costretti dal loro oppressore. La fanteria era dotata di lance e spade, ma soprattutto di armi da getto (archi, giavellotti, fionde, frombole) e non erano previsti equipaggiamenti protettivi eccetto l’elmo. La cavalleria giocava un ruolo fondamentale nella tattica dell’esercito persiano, non venendo però usata come forza d’urto; difatti l’arma prevalentemente utilizzata dai cavalieri persiani era l’arco che, usato in combinazione alla loro estrema mobilità sul campo, serviva ad infliggere perdite consistenti al nemico, che veniva poi annientato dalla fanteria.

L’esercito persiano, imbarcato su una flotta di 600 navi, aveva attraversato l’Egeo e una volta giunto a destinazione era sbarcato nella piana della baia di Maratona, col proposito di dirigersi verso il suo obiettivo principale: Atene. In totale l’armata di Dario contava 60.000 uomini.

L’esercito ateniese che andò incontro ai persiani contava 10.000 unità, rafforzato all’ultimo momento da un contingente inviato dalla piccola polis Platea, il cui esiguo contributo di 1.000 uomini non poteva certo ribaltare la sproporzione di forza favorevole ai persiani; comunque la presenza di un alleato fu fondamentale per il morale degli ateniesi: sul campo di battaglia non sarebbero stati soli.

Il terreno dello scontro, situato nella baia di Maratona, aveva forma la di una mezzaluna lunga 10 Km e larga 3, con al centro una vallata e ai lati alcune formazioni montuose ricoperte di vegetazione, che arrivavano a lambire il mare; da qui i greci spiavano i movimenti dell’esercito persiano che andava disponendosi dopo lo sbarco. La data non è certa, ma con tutta probabilità siamo sul finire del mese di agosto del 490 a.C..

Il comando dell’esercito greco era nelle mani di un consiglio di guerra di dieci strateghi: cinque, spaventati dalla prospettiva di scontrarsi contro un nemico tanto superiore numericamente, propendevano per una difesa ad oltranza delle alture in attesa dell’arrivo degli spartani; altri cinque, consci della superiorità combattiva del loro esercito, proponevano un’azione immediata che sfruttasse il fattore sorpresa. Alla fine prevalse la tesi dell’attacco immediato, soprattutto grazie all’energico discorso dello stratega Milziade, il quale convinse gli altri strateghi della superiorità del soldato greco su quello persiano, non solo per la superiore tattica di combattimento adottata, ma anche e soprattutto per le motivazioni che lo spingevano: i greci si battevano per difendere la loro libertà e la loro indipendenza da un nemico invasore venuto per sottometterli.

Conscio della rapidità di manovra di cui i persiani erano capaci, cosa che li rendeva estremamente abili nelle manovre di aggiramento ai fianchi, Milziade schierò l’esercito greco in una formazione insolitamente sottile per quella che era la tradizionale disposizione di battaglia dei greci; questo tipo di formazione gli permise di allungare le ali del suo schieramento, al fine di  limitare la possibilità per la cavalleria persiana di manovrare per aggirarlo sui fianchi. Così schierato, l’esercito greco fu tenuto nascosto fino all’ultimo, ossia quando Milziade diede l’ordine di avanzare a passo di corsa per far si che gli opliti greci arrivassero al contatto col nemico prima che questi potessero bersagliarli con le armi da getto, e la cavalleria persiana potesse montare.

Nel vedersi venire incontro un così piccolo numero di nemici, i persiani si schierarono nella assoluta convinzione di riuscire ad infrangere in breve tempo l’impeto della carica nemica.  Ma, come Milziade aveva previsto, la cavalleria persiana non fece in tempo a schierarsi, e la gran massa d’urto della formazione greca schiacciò letteralmente le fila dei fanti persiani riparati dietro i loro deboli scudi di paglia. I persiani contrattaccarono, ma Milziade manovrò abilmente facendo convergere le ali del suo esercito verso il centro persiano, andando a schiacciare con la fanteria pesantemente corazzata le deboli formazioni dei fanti persiani privi di armatura e impossibilitati a mantenere un minimo di compattezza nella loro formazione.

I greci, consapevoli di avere la vittoria a portata di mano, combattevano con foga sempre crescente e i persiani, vedendosi spacciati, fuggirono verso la spiaggia in direzione delle loro navi, tallonati dai greci che li stavano massacrando.

La sproporzione delle perdite subite dai due eserciti rende l’idea dell’efficacia della tattica adottata da Milziade e dell’entità della vittoria greca: sul campo rimasero 6.400 persiani e solo 192 greci. I fanti persiani, col loro armamento leggero e praticamente privi di corazza, nulla poterono contro gli opliti greci, pesantemente corazzati e perfettamente addestrati a muoversi in una formazione serrata la cui compattezza non venne a mancare in nessun momento della battaglia.

Vi saranno altri scontri tra occidente ellenico e Asia persiana: Serse, figlio di Dario, riproverà a sottomettere i greci, ma verrà sconfitto; e infine si ribalteranno i ruoli quando Alessandro invaderà l’impero persiano arrivando fino in India. Ma senza la vittoria di Maratona la civiltà greca avrebbe cessato di esistere per come la conosciamo, e proprio grazie a quella vittoria la Grecia potrà continuare a svolgere il proprio ruolo di guida  della civiltà occidentale, generando quel patrimonio di cultura, scienza e pensiero che è giunto sino a noi.

Marco Ammendola

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Marco Amendola

Anche se faccio tutt'altro lavoro, sono da sempre appassionato di storia, un romanzo talmente avvincente che non necessita di un finale a sorpresa
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