Storia

Cesare Mori: uomo di Stato o della politica?

La storia del Prefetto di ferro

Oggi, desideriamo parlarvi di una figura storica del nostro Paese, ma purtroppo assai poco ricordata; un uomo che operò valentemente nelle Istituzioni durante il Ventennio fascista, e che si ricorda soprattutto per il suo impegno nella lotta alla Mafia che dominava la Sicilia in quegli anni: Cesare Mori, meglio noto come il Prefetto di Ferro.

Ma chi era Cesare Mori? Un uomo di Stato o della politica? Fascista o prestato al  fascismo? Cosa lo animò nella sua lotta in difesa della Legge? Proviamo a capirlo insieme.

Cesare Primo Mori, così si chiamava per esteso, nacque a Pavia il 22 dicembre 1871. Il secondo nome, Primo gli fu imposto al brefotrofio di Pavia dove visse i suoi primi anni, poiché era stato il primo trovatello ad esservi accolto; così come il cognome provvisorio Nerbi. I genitori naturali lo riconobbero solo nel 1879. Dopo gli anni del brefotrofio, Mori proseguì gli studi a Torino presso l’Accademia Militare e da lì andò a Taranto dove conobbe Angelina Salvi che divenne sua moglie. Arruolatosi in Polizia, venne destinato prima a Ravenna e, successivamente, nel 1904 in Sicilia, a Castelvetrano in provincia di Trapani.

Nella cittadina siciliana, Mori si mise subito in evidenza nel contrasto alle attività criminali nel territorio. Energico quanto inflessibile, Mori si distinse compiendo innumerevoli arresti che gli comportarono svariati tentativi di attentare alla sua vita, diverse inchieste per abuso di potere dalle quali uscì sempre indenne ma si guadagnò anche la stima della magistratura siciliana. Il Procuratore Generale di Palermo spese per lui parole di elogio compiacendosi di avere a Trapani “un uomo che non esita a colpire la mafia dovunque essa si alligni”.

Nel Gennaio del 1915, Mori venne nominato Vice Questore e destinato a Firenze ma la Grande Guerra era alle porte e, parallelamente, in Sicilia si erano rivitalizzate le azioni di brigantaggio; le bande criminali infatti, avevano rimpinguato le loro fila con l’arrivo dei renitenti alla leva. Mori tornò sull’isola al comando di squadre speciali con il compito di sradicare il brigantaggio. Anche in questa circostanza, i suoi metodi poco ortodossi ma fruttiferi portarono a risultati importanti. Basti pensare che durante una delle tante azioni di rastrellamento a Caltabellotta, in una sola notte, fece arrestare più di 300 persone. La stampa dell’epoca esaltò il lavoro di Mori ma commise l’errore di confondere i briganti con i mafiosi, cosa che Mori non gradì, rilevando che l’aver colpito i briganti significava aver colpito coloro che “indubbiamente, rappresentano l’aspetto più vistoso della malvivenza siciliana, ma non il più pericoloso”.

Mori era convinto che la Mafia non era quella erroneamente rappresentata dai briganti i quali potevano essere al massimo la manovalanza ed ebbe a dire che “…il vero colpo mortale alla mafia lo daremo quando ci sarà consentito di rastrellare non soltanto tra i fichi d’india, ma negli ambulacri delle prefetture, delle questure, dei grandi palazzi padronali e, perché no, di qualche ministero”. Mori insomma aveva subodorato una certa contiguità tra la criminalità organizzata, i ricchi latifondisti ed alcuni apparati dello Stato. A seguito dei suoi successi in Sicilia, Mori fu promosso a Questore e decorato con medaglia d’argento al valore militare; venne quindi trasferito a Torino, successivamente a Roma ed infine a Bologna dove rimase come Prefetto dall’8 febbraio 1921 al 20 agosto 1922. Fu a Bologna che Mori dimostrò di non essere nelle  “disponibilità” del regime fascista ma delle Istituzioni di uno Stato di Diritto e della legalità, pronto a colpire chiunque ne minasse le fondamenta. Mori, infatti si oppose fermamente alle azioni squadriste dei fascisti. La situazione degenerò quando il vicecomandante della “Sempre Pronti”, una brigata fascista, rimase ferito e successivamente, il segretario del Fascio locale rimase ucciso. I responsabili vennero identificati dai fascisti nei comunisti bolognesi e pertanto avviarono una serie di spedizioni punitive ai loro danni che Mori contrastò con l’invio di forze di Polizia. Ciò costò a Mori il subire aspre contestazioni dai sostenitori del regime.

L’esigenza di allontanarlo da Bologna miscelata a quella di avere un energico uomo conoscitore della Sicilia, nel Giugno del 1924 indusse il governo a nominarlo Prefetto a Trapani dove operò dal 2 Giugno 1924 al 12 Ottobre 1925. Resosi conto della situazione di legalità alla deriva, provvede subito al ritiro di tutti i permessi d’armi. Successivamente, nel Gennaio 1925, per poter infliggere un colpo agli interessi mafiosi, istituisce una commissione provinciale per il rilascio dei nullaosta, resi obbligatori, per il campieraggio e la guardianía; questo perché erano attività controllate dalla mafia. Il 20 Ottobre 1925, Cesare Mori, forte dei successi conseguiti nel trapanese, viene nominato Prefetto di Palermo con pieni poteri su tutta la Sicilia per debellare il fenomeno mafioso, potendo contare sulla più ampia disponibilità del governo che si dichiarò pronto anche al varo di nuove Leggi qualora quelle in vigore si fossero rivelate insufficienti. Mori fu a Palermo dal 1 Novembre 1925 al 1929. Capì che per ottenere risultati significativi avrebbe dovuto muoversi con l’uso di alcuni punti chiave: cogliere un primo importante successo con un’operazione in grande stile per riaffermare l’autorità dello Stato e dare un segnale forte; riottenere l’appoggio della popolazione impegnandola direttamente nella lotta alla mafia; creare un ambiente culturalmente ostile alla mafia, combattendo l’omertà e curando l’educazione dei giovani e stimolando la ribellione contro la mafia; combattere la mafia nella consistenza patrimoniale e nella rete di interessi economici; ripristinare il normale funzionamento e sviluppo delle attività produttive della Sicilia; condannare con pene severe e implacabili i criminali sconfiggendo il clima di impunità.

L’inflessibilità di Mori si fece sentire fortemente; a pagarne le spese furono non soltanto gli uomini della manovalanza mafiosa ma anche qualche notabile che con la Mafia andava a braccetto. I successi furono elevatissimi ma quello che passò alla storia è senza dubbio il cosiddetto “assedio di Gangi” del 1 Gennaio 1926; Gangi, era un fortino di bande malavitose che vivevano in cunicoli sotterranei lasciati costruire dall’allora amministrazione comunale palesemente connivente con la Mafia. Ai cunicoli vi si accedeva attraverso ingressi nascosti realizzati nelle case dei fiancheggiatori. Mori non ebbe remore per raggiungere l’obiettivo di stanarli arrivando ad ostruire i condotti che portavano l’acqua al paese e seminando così il panico tra la popolazione che cominciò ad abbassare le difese dei malviventi. Potè quindi dare inizio al rastrellamento di Gangi con l’ausilio di Polizia e Carabinieri, traendo in arresto decine di criminali. Fu proprio in seguito a questa brillante operazione che si guadagnò il soprannome che lo rese famoso: il Prefetto di Ferro.

La lotta alla Mafia di Mori cominciò ad alzare il tiro colpendo personaggi ritenuti sino a quel momento, intoccabili; tra di loro, esponenti del clero, degli alti gradi militari e della politica, quest’ultima a conferma per lo stesso Mori di un suo antico sospetto: la Mafia trasversale agli schieramenti politici. Il caso più eclatante fu quello del Generale di Corpo d’Armata, ed ex ministro,  Antonino Di Giorgio, il quale nonostante avesse chiesto l’intercessione del Governo, non riuscì ad evitare il processo e la fine ingloriosa della sua carriera militare e politica; era il 1928. Purtroppo però, l’azione antimafia di Mori finì con l’essere strumentalizzata da gruppi di potere affaristici vicini al Governo ma più sensibili a garantirsi forme di potentato sull’isola. Fu così che Mori venne sfruttato per agevolare regolamenti di conti interni a queste lobby e favorire l’eliminazione di quei soggetti ritenuti scomodi per i loro loschi affari come il federale e deputato del PNF Alfredo Cucco, uno dei massimi esponenti del fascio dell’isola che nel 1927 venne espulso sia dal partito che dalla Camera per “indegnità morale” finendo sotto processo con l’accusa di aver preso denaro e favori dalla Mafia. Ci vollero quattro anni a Cucco per dimostrare la sua estraneità ai fatti ma. durante questo periodo, le lobby che lo avevano rovinato e, con lui, altri esponenti politici, avevano messo radici profonde nel tessuto economico e sociale della Sicilia, anche col sostegno della stessa Mafia. Il processo Cucco segna anche la fine della carriera di Prefetto di Mori che durante le udienze viene tratteggiato come una sorta di persecutore politico.

Il Governo, minacciato anche di rivolte dai siciliani, qualora Mori non fosse stato rimosso dal suo incarico, dovette cedere e nel 1929 lo nominò Senatore del Regno. A giustificarsi e far passare la nomina di Mori come un premio, dissero che la secolare piaga della Mafia era stata debellata quando in realtà sapevano benissimo che l’azione del Prefetto di Ferro era stata fermata prima che arrivasse a colpire coloro i quali, nell’organigramma criminale erano ai vertici. In Senato, Mori avrebbe voluto tenere sempre alta l’attenzione sui problemi della Sicilia ma questo non era gradito al Governo il quale lo ammonì circa il continuare a parlare di “una vergogna che il fascismo ha cancellato”. Mori era stato di fatto messo in condizioni di non nuocere, del tutto emarginato.

Come senatore continuò a occuparsi dei problemi della Sicilia, sui quali seguitò a rimanere ben informato, ma ormai senza potere effettivo e sostanzialmente emarginato. In un momento di particolare sconforto, conversando con un suo collaboratore ebbe a dire: “La misura del valore di un uomo è data dal vuoto  che gli si fa dintorno nel momento della sventura”. Nel novembre 1929 Mori giunse in Friuli dove avrebbe presieduto il neo costituito Consorzio di 2° grado che andava a sostituire di fatto l’esistente Consorzio per la bonifica integrale della Bassa friulana; avrebbe avuto anche la funzione di gestire e ridimensionare la litigiosità dei proprietari che aveva provocato la paralisi dei lavori. Nel 1925 infatti, una società di Milano aveva presentato un progetto per la bonifica della Bassa friulana, che prevedeva anche la creazione di aziende di medie dimensioni condotte ad economia. La reazione dei proprietari fu decisa: temevano che l’iniziativa li avrebbe marginalizzati nella gestione della mezzadria; presentarono quindi un progetto pressappochista allo scopo di bloccare quello della società milanese. L’operazione riuscì solo perché la Legge Serpieri dava il diritto di prelazione ai proprietari, ma i risultati furono  ovviamente deludenti. Da qui, la necessità di creare il consorzio di 2° grado e la convocazione di Mori a presiederlo, forte della sua prestigiosa storia di uomo delle Istituzioni. Inquadrato il problema, si rivolse allo stesso padre della Legge che aveva permesso questo danno, lo stesso Arrigo Serpieri dal quale ottenne una modifica alla Legge stessa tale per cui i pareri dei proprietari avessero solo valore consultivo. Le guerre per l’Impero e le spese che le comportavano, purtroppo rallentarono enormemente le bonifiche tanto da dover obbligatoriamente tirare le fila e mettere a frutto quanto sin lì fatto.

Il Prefetto di Ferro si spense il 5 Luglio 1942, due giorni dopo aver firmato l’ultima delibera del Consorzio che dirigeva. È sepolto a Pavia.

Antonio Marino

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Antonio Marino

Cinquantunenne ma con lo spirito da eterno ragazzo. Adoro la compagnia degli amici con la 'A' maiuscola, la buona tavola e le buone birre. Appassionato di politica ma quella con la 'P' maiuscola, sposato più che felicemente. Difetti: sono pignolo. Pregi: sono pignolo

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