Storia

Famagosta: l’eroica resistenza veneziana all’assedio turco

Il valore dei difensori e il martirio del comandante Bragadin

Nell’articolo che abbiamo dedicato alla caduta di Costantinopoli, ultimo residuo dell’antico Impero Romano d’Oriente, abbiamo visto come da quel momento in poi sia cominciato l’espansionismo ottomano verso l’area balcanica ed il Mediterraneo orientale; e difatti, quanto accadde in quel lontano 1453 fu solo il prologo al confronto che avrebbe poi visto gli ottomani scontrarsi con la potenza che fino ad allora era stata dominatrice incontrastata di quell’area, ossia la Serenissima Repubblica di Venezia.

Oggetto della contesa era il possesso dell’isola di Cipro, ricca e strategicamente importantissima per chiunque avesse voluto avere l’assoluto controllo dalla parte orientale del bacino del Mediterraneo. Cipro era divenuta un possedimento francese nel 1192 sotto il casato dei Lusignano, che la ottennero con le Crociate; l’ultimo re di questa dinastia, Giacomo II, sposò una patrizia veneta di nome Caterina Corner. Alla morte del re le autorità della Serenissima acquistarono dalla vedova l’isola, mettendo le mani su una piazza strategica il cui possesso permetteva di controllare le rotte commerciali verso il Medio Oriente.

E del valore strategico di Cipro era ben consapevole il sultano Selim II, figlio di Solimano il Magnifico, il quale era seriamente intenzionato ad appropriarsi di quell’antico possedimento veneziano. E difatti il 28 marzo del 1570 l’ambasciatore ottomano giunse a Venezia con la richiesta di consegna dell’isola, subendone un netto rifiuto; ora alla Serenissima non rimaneva che prepararsi alla guerra.

I turchi assediarono e presero Nicosia, per poi dirigersi su Famagosta, convinti di prevalere rapidamente sui difensori, data la preponderanza di mezzi di cui disponevano.

L’esercito ottomano era comandato da Lala Kara Mustafa Pascià, il quale invitò il comandante la piazzaforte, Marcantonio Bragadin, alla resa; vedendosi rivolgere un netto rifiuto, il generale turco inviò agli assediati la testa del governatore di Nicosia Niccolò Dandolo, ma i comandanti veneziani non si fecero intimorire.

I turchi assalirono la città, ma questa era potentemente difesa da un sistema fortificato costituito da possenti mura che si sviluppavano per una lunghezza di quattro chilometri, rafforzate da possenti bastioni ai vertici ed ulteriormente potenziate da una decina di torrioni difensivi ad altrettanti forti; il tutto era poi circondato da un profondo fossato che rese vani i primi assalti delle truppe ottomane. Lala Mustafà decise allora di usare la potente artiglieria di cui disponeva, con la quale i turchi presero a martellare la città. Dal canto loro i veneziani non potevano fare altro che tenere duro sfruttando al meglio il possente sistema difensivo della città, nella speranza che Venezia inviasse gli indispensabili rinforzi. I difensori riuscirono a resistere per tutto l’inverno, ricevendo scarsi rifornimenti di truppe e vettovaglie portati dalle galee veneziane che riuscivano a sfuggire al blocco turco, che non potevano però neanche lontanamente compensare il divario tra le forze in campo: i turchi erano man mano giunti alla cifra di ben 200.000 uomini, ai quali i veneziani potevano opporre non più di 7.000 difensori (veneziani in quanto combattenti sotto lo stendardo di San marco, ma in realtà reclutati in ogni angolo d’Italia, oltre ad un contingente di mercenari greco-albanesi). E dopo la pausa data dalla stagione fredda, i turchi ripresero a colpire Famagosta con i loro cannoni, che avevano ormai distrutto gran parte della città (durante tutta la durata dell’assedio i turchi spararono 170.000 colpi).

Bragadin si prodigava nella gestione della difesa, infondendo negli uomini speranza e coraggio, e difatti i veneziani inflissero perdite ingentissime al nemico, tra i cui caduti vi era anche il primogenito di Lala Mustafà.

Ma il divario tra le forze contrapposte era troppo grande ed alla fine di luglio del 1571 Famagosta era ormai ridotta ad un cumulo di macerie, difesa ormai un pugno di uomini, in gran parte feriti; il comandante Bragadin decise quindi di optare per la resa che fu sottoscritta il 1° agosto. Ed il bilancio delle perdite di entrambe le parti rende onore all’estremo valore dimostrato dai veneziani nella difesa della città: alla fine dell’assedio si contarono 6.000 morti tra i veneziani e ben 80.000 tra i turchi.

Bragadin riuscì ad ottenere come termini per la resa l’evacuazione dei veneziani a Creta e la garanzia che la popolazione civile non sarebbe stata toccata; ma una serie di diverbi tra Bragadin e Lala Mustafa inasprirono il clima e l’accordo saltò. Sembra che i veneziani avessero ucciso alcuni prigionieri turchi, e la pretesa di Lala Mustafa di trattenere in ostaggio un comandante veneziano come garanzia del ritorno delle navi turche, fu seccamente rifiutata da Bragadin. Ne derivò la rottura dell’accordo e i turchi, ormai padroni del campo, scatenarono al loro rabbia sui vinti.

Lala mustafà fece imprigionare i veneziani per poi trasportarli sulle navi turche e venderli come schiavi una volta giunti a Costantinopoli; fece poi decapitare i comandanti e il povero Bragadin dovette subire un atroce supplizio: gli vennero mozzate entrambe le orecchie, fu imprigionato e torturato per tredici giorni, ed infine il 17 agosto del 1571 fu portato nella piazza principale della città, ricevette cento frustate, fu legato ad una colonna che fino a pochi giorni prima aveva sorretto un leone di San Marco, e scuoiato vivo alla presenza di Lala Mustafa. Marcantonio Bragadin morì durante quell’atroce supplizio, nel corso del quale trovò la forza di insultare Lala Mustafà accusandolo di aver tradito i patti. La pelle del comandante veneziano fu poi imbalsamata, issata sulla nave di Lala Pascià e portata a Costantinopoli. Riguardo il trattamento riservato alla città, vennero sguinzagliati i soldati turchi con le conseguenze facilmente intuibili.

La pelle di Bragadin fu poi rocambolescamente trafugata nel 1580 da uno soldato veneziano schiavo dei turchi, che riuscì a fuggire e riportarla a Venezia dove ancora si trova.

La resistenza di Famagosta durante il lungo assedio fu davvero eroica, e permise a Venezia ed ai suoi alleati (Spagna, Stato Pontificio e Genova) di allestire una flotta, quella stessa che il 7 ottobre del 1571 (appena un mese e mezzo dopo la caduta della città ed il martirio del valoroso Bragadin) sconfisse i turchi conseguendo una schiacciate vittoria nella grande battaglia navale combattuta nelle acque di Lepanto.

Marco Ammendola

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Antonio Marino

Cinquantunenne ma con lo spirito da eterno ragazzo. Adoro la compagnia degli amici con la 'A' maiuscola, la buona tavola e le buone birre. Appassionato di politica ma quella con la 'P' maiuscola, sposato più che felicemente. Difetti: sono pignolo. Pregi: sono pignolo
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