Storia

GLI ANNI 80

Non solo mode e filosofie ma anche musica

Siamo giunti al segmento conclusivo del nostro viaggio negli anni 80. Nelle due puntate precedenti abbiamo parlato del fenomeno letterario che fu Clizia Gurrado con il diario-libro “Sposerò Simon Le Bon”, dove un’adolescente sognava di sposare il suo big preferito.

Abbiamo analizzato il fenomeno sociale rappresentato dal riunirsi in gruppi connotati dal look e da pseudo-ideologie politiche come i Paninari, i China, i Metallari e quanti altri del tempo che fu.

Come è normale che sia, un contesto storico ha una sua colonna sonora che, dato il momento fatto di profonde diversità sociali e filosofiche, non poteva certo essere stereotipata, campionata: ogni gruppo dell’epoca aveva i propri beniamini. Abbiamo scelto di occuparci dei tre, forse più rappresentativi del periodo: i Duran Duran, i Metallica ed i Culture Club.

I Duran Duran, band nata nel 1978 a Birmingham, divenne il must dei Paninari quando nel 1984 realizzarono il singolo “Wild Boys”; Simon Le Bon alla voce, Nick Rhodes alle tastiere, John Taylor al basso e Roger Taylor alla batteria, infiammarono i cuori delle adolescenti del periodo; probabilmente, i Duran Duran sono stati tra i pochissimi a lasciare una memoria storica, fosse solo per il fatto che ancora oggi, rivisti, corretti e ridimensionati dal tempo, sono ancora in attività.

A far loro da contraltare, dotati di sonorità infinitamente più aggressive rispetto al genere “New Romantic” di cui i DuranI MetallicaDuran furono alfieri, si posero i Metallica, nati a Los Angeles nel 1981; per qualunque Metallaro che si rispetti, quando si parla dei Metallica, si parla delle icone dell’Heavy Metal; anche se il loro successo commerciale arrivò solo nel 1991, i cultori del genere vissero il 1986 con le sonorità espresse nell’album “Master of Puppets”; le note della chitarra di Kirk Hammet e del basso di Cliff Burton e di Jason Newsted che gli successe, riecheggiano ancora nei Kid Metals d’un tempo.

I Culture ClubAltra band che faceva scintille tra i cosiddetti China e comunque tra i militanti dei gruppi un po’ decadenti erano i Culture Club; fautori del genere “Synthpop” con numerose incursioni nel “Reggae” e una spiccata propensione per il sottogenere della “Ballad”, avevano come front-man l’anglo-irlandese George O’Dowd, meglio noto con il nome di Boy George, affascinante nella sua ambiguità ma diciamocelo: allegro come una Quaresima. Il percorso artistico dei Culture Club fu piuttosto tortuoso: si sciolsero infatti nel 1986 per poter dare maggior risalto a Boy George e la loro reunion dovette aspettare il 1998. Ciononostante, le musiche proposte da Boy George alla voce, Mikey Graig al basso, Roy Hay alle chitarre ed alle tastiere, Jon Moss alla batteria e percussioni, regalarono ai loro fans brani indimenticabili come “Do You Really Want to Hurt Me” e “Karma Chameleon”.

Parlare di queste band, se da una parte apre una finestra verso quel meraviglioso mondo che è la nostalgia, dove chi ha vissuto quegli anni si rifugia per sfuggire, almeno per un po’, ad un presente foriero di incertezze ed angosce, dall’altra induce a riflessioni artistiche legittime: chi dei divi musicali del momento, nati ieri, avrà la forza di far parlare di sé tra venti e più anni? Credo la risposta la si trovi nelle parole scambiate con Clizia Gurrado quando si è detto che i giovani, capaci di decretare il successo oppure il declino di un musicista, oggi consumano tutto troppo in fretta. Di chi sarà la colpa? Dei giovani che corrono a mille all’ora o dell’inconsistenza artistica degli artisti del Terzo Millennio? Ne riparleremo tra vent’anni.

Antonio Marino

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Antonio Marino

Cinquantunenne ma con lo spirito da eterno ragazzo. Adoro la compagnia degli amici con la 'A' maiuscola, la buona tavola e le buone birre. Appassionato di politica ma quella con la 'P' maiuscola, sposato più che felicemente. Difetti: sono pignolo. Pregi: sono pignolo

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