Storia

Guardare il nemico negli occhi: il combattimento nella Grecia classica

La micidiale semplicità e l’efficacia tattica della falange oplitica

Spesso quando si parla della guerra e del modo di combattere al giorno d’oggi, si sente dire che le battaglie si combattono ormai stando dietro i computer e premendo pulsanti; è un’esagerazione, ma senza dubbio il contatto diretto col nemico è divenuta un’eventualità molto rara. Nei tempi passati invece lo scontro corpo a corpo, il confronto fisico diretto con l’avversario sul campo di battaglia, era la regola del combattimento e questo è quanto mai vero per i soldati della Grecia antica. Già, perché per le falangi, le formazioni serrate con le quali i fanti greci (gli opliti) affrontavano il nemico, cercavano proprio questo: uno scontro frontale con la falange nemica, che si risolveva in una gara a chi fosse stato in grado di esercitare la maggior pressione al fine di aprirsi un varco tra le fila nemiche e scompaginarne la formazione. La cosa però non era così semplice.

Immaginiamo di essere un fante greco armato di scudo (che reggeremo con il braccio sinistro) e di una lancia (impugnata con la mano destra). Ora, siamo parte integrante di una riga in cui tutti i soldati sono fianco a fianco. Succede quindi che mentre il lato sinistro del nostro corpo è protetto dal nostro scudo, il lato destro è parzialmente scoperto (la possibilità offerta dallo scudo di essere appoggiato sulla nostra spalla sinistra data la sua forma concava accentuerà questa condizione); avremo quindi una naturale tendenza a spostarci verso destra per usufruire della copertura offerta dallo scudo del nostro vicino. Quando il comandante darà l’ordine di avanzare verso la falange nemica che si trova difronte a noi, dato che ciascuno dei fanti della nostra falange tenderà a questo spostamento verso destra, tutta la formazione avanzerà diagonalmente in quella direzione, correndo il mortale rischio di esporre il fianco sinistro all’attacco avversario. E qui entrava in gioco l’abilità del comandante, il quale doveva tenere serrate le fila della flange dirigendola frontalmente verso quella nemica. Ma non solo. Altro ruolo fondamentale del comandante era quello di decidere il momento più opportuno per cominciare ad assumere quell’andatura di corsa che forniva alla formazione la forza di inerzia utile per dare origine ad una pressione micidiale sul nemico arrivando a scompaginarne le fila: un ordine dato troppo presto avrebbe comportato l’arrivo al contatto col nemico avendo il fiato corto e le energie esaurite, e con in più il rischio di far venir meno la necessaria compattezza della formazione; di contro, l’ordine dato in ritardo non avrebbe permesso alla falange di acquisire la necessaria velocità per impattare efficacemente con la formazione avversaria. E proprio per questi motivi le battaglie nell’antica Grecia si combattevano su terreni volutamente pianeggianti per evitare che le asperità del terreno scompaginassero la falange, evitando però le pianure eccessivamente ampie che avrebbero inevitabilmente reso più vulnerabili i fianchi. Attenzione però! Se l’impeto era fondamentale per impattare contro la falange avversaria, un eccesso poteva spingere pericolosamente contro il muro di lance nemiche a rischio di rimanervi infilzati. A questo punto si arrivava al contatto diretto col nemico: la prima fila era spinta da quelle retrostanti verso la falange nemica scudo contro scudo, cercando di dare colpi ed affondi di lancia fino a rompere le fila avversarie e mandarle in rotta.

Questo tipo di strategia, ovvero la ricerca di un unico e risolutivo scontro frontale col nemico, rifletteva la necessità da parte delle città stato di risolvere i conflitti nel più breve tempo possibile (gli opliti erano fanti contadini che dovevano al più presto tornare e badare alla loro terra) e col minor numero possibile di morti: una guerra lunga e dispendiosa in termini materiali ed umani, sarebbe stata devastante per quelle società in cui le braccia degli uomini erano fondamentali per il lavoro nei campi. Questo modo di combattere poi, ovvero il semplice scontro frontale tra fila di soldati, rappresenta una ulteriore conseguenza dell’essere fanti agricoltori: tattiche complesse che prevedessero l’uso di armi più tecniche quali erano quelle da lancio (giavellotti, archi o frombole), richiedevano un lungo e continuo addestramento incompatibile con le esigenze lavorative di quei contadini-soldato. La lancia invece, inserita nella compatta formazione della falange, non richiedeva una particolare abilità: bisognava semplicemente spingere in avanti contro gli scudi nemici ed affondare nei punti scoperti del soldato che si aveva difronte (unica eccezione nel mondo ellenico erano gli spartani che curavano maggiormente l’addestramento e difatti erano specialisti nell’uso della spada oplitica).

Nelle guerre contro eserciti stranieri, il combattimento a ranghi serrati nella falange permetterà ai greci di resistere contro nemici numericamente superiori e spesso di sconfiggerli: alle Termopili i trecento spartani di Leonida resistettero a lungo contro le ondate di migliaia di persiani che gli si gettavano contro disordinatamente, e a Maratona le compatte formazioni ateniesi sbaragliarono il ben più numeroso esercito di Dario, salvando la civiltà occidentale dall’invasione persiana.

Marco Ammendola

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Marco Amendola

Anche se faccio tutt'altro lavoro, sono da sempre appassionato di storia, un romanzo talmente avvincente che non necessita di un finale a sorpresa
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