Storia

ESCLUSIVA ASSOLUTA: L’intervista immaginaria a Paolo Borsellino

Un omaggio doveroso e sentito nell'anniversario della morte del grande magistrato antimafia

Fa caldo stasera a Palermo. Lo scirocco non ha dato tregua per tutto il giorno, fiaccandomi nelle membra e nelle idee. “Accidenti! Proprio stasera! Speriamo di non perdere colpi”, dico tra me. L’appuntamento è per le 21.30 in un elegante bar poco distante dall’ingresso al Parco della Favorita.

Dato il caldo ancora torrido, per l’incontro scelgo un look informale: polo e jeans. So che il mio ospite non bada granché all’etichetta ma piuttosto alla sostanza. Sono all’ingresso del luogo concordato, quando in lontananza sento il suono delle sirene ed intravedo i lampeggianti blu che si avvicinano. Puntuali, le due macchine si fermano “inchiodando” e rapidi scendono dalla prima vettura due degli agenti di scorta; li riconosco: sono Emanuela ed Agostino (rispettivamente Loi e Catalano nda). Insieme a Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina e Antonino Vullo, sono i ragazzi della “Quarto Savona 21″; chi li dimentica? Si avvicinano alla macchina che hanno preceduto, aprono la portiera posteriore e scende lui: Paolo Borsellino. Il cuore quasi mi schizza fuori dal petto per l’emozione. Con mia sorpresa anche lui ha scelto un abbigliamento informale: polo blu su un elegante jeans. Mi avvicino porgendogli la mano che prontamente stringe.

“Buonasera, Dottore. Grazie”.

“I dottori stanno all’ospedale. Io sono Paolo e lei Antonio, immagino”, risponde sorridendomi.

Sorrido anch’io e sospiro per il sollievo. Borsellino è molto più avvicinabile di quanto possa sembrare, non conoscendolo di persona. Meglio così, sarà più facile parlare. Ci accomodiamo ad uno dei tavolini all’interno del locale semivuoto mentre due degli agenti di scorta rimangono a breve distanza da noi, i loro occhi sempre in allarme. La situazione mi mette un po’ d’ansia. Il mio stato d’animo viene colto dal mio speciale interlocutore che dice: “E’ la forza dell’abitudine – mi spiega rassicurandomi -. Ancora non riescono a capire che ormai non può capitarmi nulla di peggio di quanto mi e ci è successo… non si rassegnano”.

“Dottore, cioè… Paolo, sono appunto passati ventisei anni da quel pomeriggio. Cosa pensa di quei momenti? Si potevano evitare?”

“Tutto si poteva e si può evitare ma come diceva Giovanni, (Falcone nda) si muore veramente quando si viene lasciati soli. E’ anche vero però che le idee di chi non c’è più continuano a camminare sulle gambe di altri” ed aggiungendo con fare un po’ sornione, di quello che la sa lunga: “Magari anche su quelle di voi giornalisti…”.

Incasso la battuta sorridendo e chiedo: “Un lavoro di squadra, insomma. Come quello del Pool antimafia”.

“Quello sì che fu un colpo di genio! Un gruppo di giudici che lavoravano coordinati su un unico obiettivo”.

“Forse qualcuno aveva sottovalutato la vostra determinazione, anche prima di costituire il pool”.

“All’inizio forse sì ma presto capirono che non ci saremmo occupati solo di ‘pesci piccoli’. A qualche ‘galantuomo’ cominciarono a tremare le gambe, specie dopo i primi successi messi a segno da Dalla Chiesa con quella pioggia di arresti che ricorderà… ma ancor di più quando Tommaso Buscetta cominciò a collaborare”. 

“La risposta di Cosa Nostra fu drammatica, però…, replico. A Borsellino vengono gli occhi lucidi: ricorda Dalla Chiesa e La Torre. Ci volle il loro sacrificio per avere un mezzo aiuto dallo Stato: l’istituto del carcere duro; utile sì, ma non determinante”, risponde.

“Insomma, lo Stato non vi fu di grandissimo aiuto”.

“Avrebbe potuto fare sicuramente di più, non ci ha saputo tutelare. Chinnici venne assassinato e dopo di lui, fu il turno di Beppe Montana e dopo, quello di Ninni Cassarà. Se li ricorda i due funzionari di Polizia che collaboravano con noi? A me e Giovanni (Falcone nda) ci ‘deportarono’ per sicurezza all’Asinara, nella foresteria del carcere. Dovevamo scrivere l’istruttoria per il maxiprocesso a Cosa Nostra. Pensi che l’amministrazione penitenziaria ci addebitò i costi di soggiorno”.

“Nel 1987, Caponnetto si ammala e lascia il pool”.

“Quella fu la pietra tombale sul pool. Il posto di Caponnetto doveva prenderlo Falcone e invece il CSM ci ‘regalò’ Antonino Meli che di fatto lo sciolse”.

“Successivamente a quei momenti, nel 1992, una parte politica la volle candidare alla Presidenza della Repubblica. Riconoscenza per il lavoro svolto o un tentativo di metterla in condizioni di non nuocere a qualcuno?”

“Se la politica avesse voluto interrompere la mia carriera di magistrato, gli sarebbe bastato aspettare i tempi di Cosa Nostra. Il 23 maggio ammazzarono Falcone ed io sarei stato il prossimo, così come fu esattamente ventisei anni fa come oggi”.

“Lei pensa che il suo sacrificio abbia prodotto risultati concreti nella lotta alla mafia?”

“Ti dirò – inaspettatamente è passato dal “lei” al “tu” -, la mafia è una piaga secolare che dopo aver ammorbato per decenni la nostra Sicilia, ha fatto il salto di qualità diffondendosi in tutta Italia ed anche fuori. Già ai tempi miei e di Giovanni ragionava con logica imprenditoriale… forse perché gli imprenditori cominciava a frequentarli. Se qui si pensa ancora al mafioso come un semianalfabeta con la ‘coppola’ e la ‘lupara’ a tracolla, non si è capito niente e noi saremmo ‘dall’altra parte’ per niente. Il mafioso, oggi è laureato a pieni voti; magari ha fatto anche qualche master di economia e parla almeno tre lingue correntemente: altro che ‘coppola e lupara…’ “.

“Eppure quelli che ventisei anni fa le hanno fatto… e prima di lei, a Falcone…”.

Borsellino mi ferma subito: “Quelli sono ‘picciotti’… ‘soldati’. Come diciamo a Palermo, ‘cani di Vucciria’. Quelli che danno gli ordini, quelli che hanno deciso e che veramente contano, sono altri. Quelli che ti ho descritto prima”.

“Sono appunto passati ventisei anni; la mafia può almeno ritenersi se non sconfitta, ridimensionata?”

“Amico mio, la mafia non la sconfiggi più ormai: al massimo l’addormenti. Per sradicarla è tardi. Era già tardi ventisei anni fa. Gli allievi dei ‘cattivi maestri’ di allora sono diventati i ‘cattivi maestri’ di oggi.

“Un po’ pessimista…”.

“Non è pessimismo, è realismo. Quando ho visto, là da dove mi trovo, l’ammissione anche parziale dell’esistenza di un patto ‘Stato-Mafia’ con i ministri dell’epoca in imbarazzo, ho sorriso. La prova provata delle profonde radici di Cosa Nostra. Ma che s’aspettavano? La morte di Salvo Lima non ha spiegato niente? Ma per favore…”.

“Il quadro politico attuale risulta piuttosto confuso. Cosa dovrebbero pensare e fare oggi gli italiani, senza scadere nell’antipolitica?”

“Comportarsi da persone perbene è il primo ‘comandamento’. Sembra una banalità ma è fondamentale; negli ultimi tempi è un concetto sempre meno tenuto in considerazione. Capisco che siano incazzati ma ognuno deve fare la propria parte per la difesa delle Istituzioni; l’alternativa è dare spazio a chi mi ha costretto a lasciare questa vita. Io so chi ha voluto farmi questo: sono le stesse persone che nemmeno immaginate e che perseguono da anni l’obiettivo di ridurre questo Paese ai minimi termini. Se continuate ad osservare il dito non guarderete mai la luna”.

Si è fatto tardi e Paolo Borsellino deve andare. Ci salutiamo con cordialità, lo accompagno alla macchina.

Mentre sta salendo si ferma e guardandomi fisso negli occhi, quasi come se mi avesse letto nel pensiero, mi dice: “Antonio, non aver mai paura di morire. Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”.

Mi saluta ancora alzando la mano e sale a bordo dell’auto; i lampeggianti si riaccendono ed insieme, le sirene. Le vetture partono velocemente ed io resto lì, di fronte all’ingresso del bar, con un’emozione mai provata e la voglia insopprimibile di raccontarla.

Antonio Marino

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Antonio Marino

Cinquantunenne ma con lo spirito da eterno ragazzo. Adoro la compagnia degli amici con la 'A' maiuscola, la buona tavola e le buone birre. Appassionato di politica ma quella con la 'P' maiuscola, sposato più che felicemente. Difetti: sono pignolo. Pregi: sono pignolo
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