Storia

L’attacco ad Alessandria: i nostri incursori diventano leggenda

Il più glorioso episodio di incursione della Marina Italiana

Nell’articolo relativo ai “maiali”, i famosi mezzi di incursione della Regia Marina durante la Seconda Guerra Mondiale, abbiamo conosciuto le straordinarie caratteristiche di questo siluro pilotato da uomini, e abbiamo visto l’uso che i nostri incursori ne facevano durante le loro ardimentose missioni. Vediamo quindi quale fu la più famosa ed eroica impresa compiuta dai nostri eroici marinai, che con i loro straordinari mezzi turbavano il sonno della flotta britannica nel Mediterraneo.

L’operazione di cui stiamo parlando era il forzamento del munitissimo porto di Alessandria d’Egitto, base della Mediterranean Fleet, universalmente riconosciuto come inespugnabile; alla missione fu dato il nome di operazione G.A.3. Come sappiamo, i maiali venivano portati a distanza dall’obiettivo all’interno di appositi cilindri montati su dei sommergibili; quello designato a compiere la missione di trasporto fu lo Sciré, comandato da Junio Valerio Borghese, che salpò dall’isola di Lero (mare Egeo) il 14 dicembre del 1941. La destinazione fu raggiunta il giorno 18 alle ore 20:45, ed immediatamente i tre maiali vennero messi in mare: due uomini per ciascun maiale, quindi tre coppie, avrebbero condotto la pericolosissima missione.

Vediamo chi furono gli uomini che si accingevano a compiere quell’impresa, i valorosi, preparatissimi e motivatissimi marinai dei nostri reparti di incursione. La prima coppia era formata da Luigi Durand De la Penne e da Emilio Bianchi, che avevano come obiettivo la corazzata Valiant; la seconda coppia era costituita da Antonio Marceglia e Spartaco Schergat, che avrebbero dovuto occuparsi della corazzata Queen Elizabeth, gemella della Valiant; ed alla terza coppia troviamo Vincenzo Martellotta e Mario Marino, cui fu assegnata come target una eventuale portaerei, avendo come alternativa una petroliera, come poi effettivamente avvenne.

Come abbiamo detto era il 18 dicembre del 1941 ed alle 21:00 i tre maiali cominciarono la loro navigazione giungendo in breve all’ingresso del porto nemico di Alessandria; entrando nel canale navigabile che conduceva all’ingresso del porto, i maiali si accodarono ad una fila di tre cacciatorpediniere inglesi, sfruttando l’apertura negli sbarramenti alla quale il personale del porto aveva provveduto per permettere l’ingresso delle tre unità britanniche. A questo punto, all’una di notte, i tre maiali si separarono dirigendosi ciascuno verso il proprio obiettivo.

De la Penne e Bianchi individuarono la possente mole della Valiant, circondata da reti parasiluri che vennero superate non senza qualche difficoltà; ora gli incursori erano sotto la corazzata inglese. I due cominciarono le operazioni per fissare la carica esplosiva, ma Bianchi ebbe un’avaria al respiratore e fu costretto a riemergere venendo individuato dalle sentinelle inglesi che lo catturarono; De la Penne continuò da solo un durissimo lavoro subacqueo e riuscì a piazzare la carica esplosiva sotto la chiglia della corazzata, ma sfortunatamente il maiale ebbe un malfunzionamento ed anch’egli fu costretto a riemergere, venendo subito individuato e catturato. Gli incursori furono prelevati da un motoscafo e portati a bordo della Valiant per essere interrogati. L’interrogatorio portato avanti dagli ufficiali inglesi fu piuttosto energico, e ai due marinai italiani venne intimato di rivelare la posizione della cariche e l’ora prevista per l’esplosione, ma gli inglesi non ricevettero alcuna risposta; anzi, De la Penne consigliò al comandante della Valiant, ammiraglio Charles Morgan, di mettere in salvo l’equipaggio perché di li a poco la carica sarebbe esplosa. Ed arrivò quindi il momento dell’esplosione, che aprì una grossa falla nella chiglia della Valiant, che si adagiò sul fondale (De la Penne e Bianchi rimasero illesi e furono evacuati dagli inglesi assieme ai marinai dell’equipaggio, tra i quali vi era il giovane Filippo di Edimburgo, attuale consorte della Regina Elisabetta II). Erano da poco passate le 6:00, e a bordo della Queen Elizabeth i marinai inglesi stavano guardando con un misto di stupore ed orrore la gemella della loro unità inclinarsi da un lato e poggiarsi sul fondale, ignari che di li a pochi minuti alla loro corazzata sarebbe toccata la stessa sorte. E difatti anche il duo Marceglia/Schergat aveva portato a termine la missione, e la Queen Elizabeth fu colpita dall’esplosione della carica che i due marinai italiani le avevano piazzato addosso (per la cronaca, a bordo vi era la nostra vecchia conoscenza ammiraglio Andrew Cunningham, il comandante della Mediterranean Fleet, che fu sbalzato dallo scoppio); fece poi seguito il gran boato della terza esplosione, segno che anche Martellotta e Marino erano riusciti a compiere quanto previsto, danneggiando gravemente la petroliera Sagona ed il vicino cacciatorpediniere Jervis. Solo otto marinai inglesi morirono: l’obiettivo di quella missione di guerra italiana non era uccidere quanti più nemici possibile, ma solo neutralizzarne le unità. De la Penne, Bianchi, Martellotta e Marino furono presi prigionieri, mentre Marceglia e Schergat riuscirono a fuggire ma furono individuati e catturati successivamente.

Al termine della missione tutti gli obiettivi vennero raggiunti: la Mediterranean Fleet perse due tra le sue più potenti corazzate, un bilancio pesantissimo paragonabile a quello di una battaglia perduta. I comandi italiani non seppero però approfittare della momentanea superiorità acquisita rispetto alla flotta inglese, avendo sottovalutato l’entità dei danni subiti dall’avversario, e non seppero osare per quanto le favorevoli circostanze avrebbero permesso loro di fare.

Il Primo Ministro britannico Winston Churchill commentò così l’accaduto: “Sei italiani equipaggiati con materiale di costo irrisorio hanno fatto vacillare l’equilibrio militare nel Mediterraneo a vantaggio dell’Asse”. Ed effettivamente la felice conclusione dell’impresa di Alessandria mise seriamente in difficoltà la Mediterranean Fleet, visto che nelle settimane precedenti un sommergibile tedesco aveva affondato la corazzata Barham ed un altro aveva colpito ed affondato la portaerei Ark Royal: ora la flotta britannica del Mediterraneo era priva di corazzate. E per gli italiani la soddisfazione fu doppia, sia perché fu inferto un duro colpo alla potente flotta britannica, ed anche perché con l’impresa di Alessandria la nostra Marina si prese la rivincita sull’attacco di Taranto, quando il 12 novembre del 1940 degli aerosiluranti britannici colpirono gravemente le corazzate Cavour, Littorio e Duilio.

Nel marzo del 1945, con l’Italia divenuto paese cobelligerante degli alleati, De la Penne, di ritorno dalla prigionia, ricevette a Taranto la meritata Medaglia d’Oro al Valor Militare per l’impresa di Alessandria (riconoscimento che fu ovviamente concesso anche ai suoi cinque compagni). Ad appuntargliela sarebbe dovuto essere l’erede al trono d’Italia principe Umberto di Savoia, in una cerimonia alla quale era presente l’ammiraglio inglese Charles Morgan, comandante della corazzata Valiant ai tempi dell’incursione ad Alessandria; ma quando venne il momento di premiare De la Penne, il principe Umberto si rivolse all’ammiraglio inglese dicendogli “Venite Morgan, penso che spetti a voi”. E fu così che l’ammiraglio inglese appuntò una medaglia d’oro sul petto dell’incursore italiano che aveva affondato la sua corazzata.

In ultimo, ancora le parole di Churchill, che definì l’impresa di Alessandria come “Uno straordinario esempio di coraggio e genialità”.

Quel giorno, nelle acque del porto di Alessandria, gli incursori italiani diedero vita ad un mito che continua ancora oggi, e che divenne in quella guerra un esempio da seguire… anche per gli inglesi.

Marco Ammendola

Foto: Sommergibile Sciré

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Antonio Marino

Cinquantunenne ma con lo spirito da eterno ragazzo. Adoro la compagnia degli amici con la 'A' maiuscola, la buona tavola e le buone birre. Appassionato di politica ma quella con la 'P' maiuscola, sposato più che felicemente. Difetti: sono pignolo. Pregi: sono pignolo
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