Storia

4 novembre 1918: vittoria! Totale, assoluta e schiacciante vittoria!

Cento anni fa finiva la Grande Guerra: Trento e Trieste erano finalmente italiane

Oggi cade l’anniversario della fine della Grande Guerra per l’Italia, e quest’anno l’anniversario è particolare dato che cade il centenario della vittoria. Vale la pena ricordare questo evento che ricorre dopo un secolo, cento anni esatti dalla conclusione di quella guerra vittoriosa e tragica che ha segnato profondamente la storia del nostro paese.

Dopo le sanguinose offensive di Cadorna sull’Isonzo, dove per undici volte in due anni e mezzo gli italiani andarono al massacro senza mai riuscire a scalzare definitivamente l’esercito austro-ungarico che sbarrava la strada per Trieste, nell’ottobre del 1917 ci fu la batosta di Caporetto, che determinò l’arretramento del fronte fino al Piave. In quel tragico frangente l’Esercito Italiano seppe dare prova di sé riuscendo a riprendersi per continuare la lotta ed evitare la sconfitta: i nostri soldati si batterono accanitamente sul Piave e sul Monte Grappa per arrestare l’offensiva austro-tedesca. E con l’Esercito l’Italia tutta seppe rialzarsi dimostrando anche nell’interno una ferrea volontà di vittoria: l’Esercito a Caporetto aveva perso un terzo degli effettivi, gran parte dell’artiglieria, delle munizionie dei materiali bellici, ma grazie ad un immane sforzo produttivo le perdite furono ripianate ed il nostro Esercito poté continuare la lotta; e nel giugno del 1918 seppe fermare e respingere l’offensiva nemica nota come la “battaglia del solstizio”, ultimo tentativo dell’Austria di vincere la guerra.

E giunse quindi l’ultima battaglia, quella definitiva dell’immane guerra che si avviava a concludersi con la nostra vittoria.

Siamo nell’ottobre del 1918 ed il Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito generale Armando Diaz (che prese il posto di Cadorna dopo Caporetto), dovette suo malgrado organizzare quell’offensiva che in realtà aveva programmato per la primavera del 1919.E questo perché gli eventi bellici sul fronte occidentale stavano volgendo a favore degli alleati anglo-franco-americani e l’Italia correva un gravissimo pericolo: rischiavamo di vedere concludersi la guerra quando non eravamo ancora passati all’offensiva e di ritrovarci quindi a guerra conclusa con il nemico in casa, presentandoci al tavolo della pace senza aver portato a casa una chiara vittoria sul campo; sarebbe stato un disastro diplomatico di proporzioni incalcolabili. E quindi si decise di passare all’offensiva.

Il piano operativo prevedeva che inizialmente si concentrasse lo sforzo offensivo sul massiccio del Monte Grappa, per inchiodare in quel settore gran parte delle forze austriache, facendo credere al nemico che lo sforzo principale sarebbe stato concentrato proprio li; in realtà, una volta realizzato questo primo obiettivo, le nostre divisioni avrebbero attraversato il Piave per realizzare lo sfondamento del fronte nemico. E gli austriaci ci cascarono in pieno.

Sul Grappa prese corpo quindi la prima parte della battaglia, che iniziò il 24 ottobre del 1918, ad un anno esatto dall’offensiva austro-tedesca a Caporetto; e per i nostri soldati la battaglia fu durissima. Sul Grappa gli austriaci occupavano posizioni fortissime, e proprio perché avevano preventivato che il maggiore sforzo degli italiani sarebbe avvenuto in quel settore, vi ammassarono gran parte delle loro riserve; gli assalti dei nostri reparti si infransero contro una resistenza ostinata, e le perdite furono ingenti per i nostri fanti e i nostri alpini. Ma il generoso sacrificio dei soldati italiani sul sacro Monte Grappa non fu vano: gli austriaci dovettero tenere inchiodate sulmassiccio le loro divisioni, non potendole spostare sul Piave che fu attraversato dai reparti italiani grazie all’eroico sforzo dei pontieri del nostro esercito, che col fiume in piena e sotto i colpi dell’artiglieria austriaca riuscirono ad eseguire il loro compito per permettere il passaggio del fiume alle nostre divisioni. A questo punto l’offensiva prese corpo e l’auspicato sfondamento del fronte nemico fu realizzato in direzione di quella cittadina che passò alla storia dando il nome all’ultima battaglia di quella guerra: Vittorio Veneto.

Ormai per l’esercito austriaco si profilava una disastrosa sconfitta. L’impero austro-ungarico era in grave crisi, dato che le etnie di quello stato multietnico non si riconoscevano più in quella compagine anacronistica, e la sconfitta militare diede il colpo definitivo ad un antico impero che ormai non aveva più ragione di esistere: sotto la spinta della vittoriosa offensiva italiana interi reparti si ammutinarono, soprattutto quelli di nazionalità cecoslovacca ed ungherese, mentre rimasero combattivi sino all’ultimo i reparti composti da soldati di nazionalità tedesca (soprattutto tirolese) e slava (specialmente sloveni e croati), i quali sapevano quali fossero le mire dell’espansionismo italiano. Il bottino fu enorme, tra le centinaia di migliaia di prigionieri, le decine di migliaia di cannonicatturati, ed un’immensa quantità di materiali. Non bisogna poi dimenticare che dopo quattro anni di guerra e di blocco commerciale l’impero era allo stremo, o meglio alla fame, e così anche il suo esercito. Molti reparti dell’esercito austro-ungarico (o di ciò che ne rimaneva), si batterono con onore fino all’ultimo, ma ormai l’avanzata italiana era inarrestabile. Nel bollettino della vittoria il generale Diaz concluse con le parole “… i resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza”.

Proseguendo nell’offensiva i reparti italiani liberavano via via le città del Veneto e del Friuli (Conegliano, Pordenone, Feltre, Belluno, Udine), e ovunque le nostre truppe erano accolte da una folla festante, fatta di poveragente che da un anno viveva le privazioni della guerra e dell’occupazione nemica. E finalmente si arrivo alle tanto agognate mete. Poco dopo le quindici del 3 novembre del 1918 la cavalleria italiana entrò a Trento accolta dalla folla esultante, e finalmente il tricolore poté sventolare sul castello del Buonconsiglio, proprio dove avevano trovato il martirio gli irredenti trentini Cesare Battisti, Fabio Filzi e Damiano Chiesa; e poco più tardi un cacciatorpediniere della Regia Marina portò a Trieste un reparto di bersaglieri accolti dalla folla festante, e la bandiera italiana fu issata sulla torre di San Giusto.

Il giorno dopo, alle quindici del 4 novembre del 1918, entrò in vigore l’armistizio siglato il giorno prima a Villa Giusti (presso Padova), dalla commissione austriaca che firmò il documento davanti al Vicecapo di Stato Maggiore del Regio Esercito Italiano Pietro Badoglio: la guerra era finalmente finita, e l’Italia l’aveva vinta.

Quel 4 novembre di cento anni fa la nostra vittoria pose fine alla tragedia, un’immane tragedia i cui numeri fanno venire i brividi. Il costo della vittoria fu tremendo: 650.000 italiani morirono, 460.000 rimasero mutilati o riportarono invalidità permanenti, 22.000 persero un occhio o rimasero ciechi, 3.200 muti, 6.800 sordi, 5.500 rimasero mutilati al volto e più di 40.000 persone subirono danni neurologici o psichiatrici; 345.000 bambini italiani rimasero orfani di padre.

A fronte di questi numeri riteniamo doveroso ricordare in questo anniversario il sacrificio di quella generazione di italiani che immensamente soffrirono e che seppero compiere l’impresa di portare a casa una vittoria contro quell’Impero austro-ungarico che con la sconfitta si dissolse per sempre; finalmente l’opera risorgimentale fu compiuta con la liberazione di Trento e Trieste ed il completamento dell’Unità d’Italia. Grazie quindi a tutti coloro che soffrirono le pene dell’inferno sul Carso, che combatterono nei ghiacci delle montagne trentine, ai ragazzi del ’99 che risollevarono le sorti dell’esercito dopo Caporetto, alle madri e padri che persero un figlio, alle mogli rimaste vedove, agli orfani, a tutti gli italiani che contribuirono alla vittoria e ai reduci che portarono per tutta la vita sul loro corpo e nella loro mente le ferite della guerra; a tutti loro va il nostro ricordo, il nostro grazie ed il nostro commosso Viva l’Italia!

Marco Ammendola

Nell’immagine, il Sacrario Militare di Redipuglia, dove riposano i resti di 100.000 soldati italiani

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Marco Amendola

Anche se faccio tutt'altro lavoro, sono da sempre appassionato di storia, un romanzo talmente avvincente che non necessita di un finale a sorpresa
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