Affari legali

AFFARI LEGALI. Il canone RAI è una tassa? Principi e contraddizioni

Le nuove modalità di versamento hanno suscitato non poche polemiche

Nell’ultimo articolo abbiamo parlato del canone RAI, che ci si ostina a non definire una tassa, quando in realtà parrebbe proprio essere tale, anche in forza di numerose pronunce italiane ed europee già citate in precedenza.

Da più parti si è segnalato poi come si sia creata un’evidente asimmetria fra la possibilità per l’emittenza pubblica, da un lato, abilitata a beneficiare in concreto di un duplice sistema di finanziamento, ed emittenti private, dall’altro, vincolate invece al reperimento delle proprie risorse unicamente per mezzo della pubblicità sotto varie forme; ciò, a parere di molti, in contrasto con i principi di libera concorrenza a parità di condizioni, che dovrebbero informare il mercato moderno anche nel settore delle radio-telecomunicazioni.

Secondo questo pensiero, è la logica – ancor prima dei principi di legislazione economica sulla concorrenza – che dovrebbe far giungere a due opzioni tra loro antitetiche: o considerare il cosiddetto canone RAI come un corrispettivo per la visione dei programmi della TV di Stato, con conseguente possibilità per l’utente di rinunciarvi, analogamente a quanto avviene per quelli delle altre emittenti a pagamento; oppure ritenerlo, come ha fatto da tempo la giurisprudenza e come ha sancito lo stesso Legislatore nel 1938, una tassa obbligatoria per tutti, ma con corollario, in quest’ultima ipotesi, che della sua riscossione e del relativo incameramento dovrebbe farsi carico l’erario, magari con il compito di destinare i relativi introiti al finanziamento di servizi davvero di pubblica utilità, anziché versarlo ad un’azienda che, lo si ripete, opera ormai da circa 40 anni nel campo della diffusione di contenuti multimediali, alla stregua di un qualunque altro soggetto (concorrente) privato.

Passando a riflessioni più di attualità, le nuove modalità di versamento della tassa in questione hanno suscitato com’era prevedibile non poche polemiche. La Legge di Stabilità del 2016 ha infatti stabilito che siano le aziende fornitrici di elettricità a riscuoterla, inserendola nel conto delle bollette periodiche inviate ai rispettivi clienti, a partire dal mese di luglio. Senonché, ad oggi, mancano ancora delle norme attuative chiare ed esaurienti. Per il momento, l’unica cosa placida è che sia dovuto un solo canone per ciascuna abitazione principale, a prescindere dal numero degli apparecchi televisivi che in essa si trovino. Chi non possegga alcun apparecchio, situazione quasi surreale al giorno d’oggi, è di converso tenuto ad inviare all’Agenzia delle Entrate apposita autocertificazione, con l’avvertimento che, se la stessa dovesse risultare non veritiera, ciò sarebbe perseguito come illecito penale, secondo i principi di cui al DPR n° 445/2000 T.U. in materia di documentazione amministrativa.

Ulteriori considerazioni potrebbero essere avanzate in ordine alla costituzionalità del nuovo regime e soprattutto alle modalità di impiego delle risorse ricavate dalla riscossione del canone, ma per questo occorre attendere un quadro normativo meglio definito e un orientamento giurisprudenziale al momento non ancora consolidato.

Roberta Romeo

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