Affari legali

AFFARI LEGALI. La conversione del pignoramento

Novità legislative e giurisprudenziali

La cosiddetta conversione del pignoramento è uno strumento processuale tramite il quale il debitore sottoposto a procedura esecutiva può, a determinate condizioni, “liberare” dal vincolo di disposizione i beni che dal pignoramento siano stati aggrediti, evitandone l’espropriazione.

L’istituto è regolato dall’art. 495 C.P.C., da ultimo novellato per effetto del D.L. n. 83/2015 e del D.L. n. 135/2018; la normativa in questione prevede che, fino a quando non ne sia stata disposta la vendita o l’assegnazione, il debitore può chiedere di sostituire alle cose o ai crediti pignorati una somma di denaro pari al credito vantato dal pignorante, dagli eventuali creditori intervenuti, oltre agli interessi e alle spese, comprensive di quelle per l’esecuzione.

La richiesta va fatta presentata apposita istanza al Tribunale presso il quale è pendente la procedura esecutiva e deve essere accompagnata dal versamento documentato di una somma pari ad 1/6 del credito azionato esecutivamente; anche detto versamento viene effettuato presso la cancelleria del tribunale, di regola presso la filiale di un istituto di credito che abbia apposita convenzione con l’ufficio giudiziario che procede, su un libretto di risparmio.

Entro i 30 giorni successivi al deposito dell’istanza di conversione, il Giudice dell’Esecuzione, previa comparizione delle parti, stabilisce con ordinanza l’ammontare esatto della somma che il debitore dovrà depositare, in sostituzione del bene/credito pignorato – integrando, quindi, il versamento iniziale di 1/6 effettuato al momento dell’istanza medesima – determinata in misura pari al capitale, agli interessi a scalare al tasso convenzionale (o, in mancanza, al tasso legale) ed alle spese.

E’ altresì ammesso, limitatamente ai casi di pignoramento di cose mobili o beni immobili, che la somma da versare quale integrazione possa essere rateizzata fino ad un massimo di 48 mensilità. Sul punto, è intervenuta di recente un’ordinanza del Tribunale di Milano, che ha fatto chiarezza statuendo che la rateizzazione dell’importo residuo non possa essere concessa in caso di pignoramento di crediti (il cosiddetto pignoramento “presso terzi”) ma solamente, come prevede il testo della norma, per quello di beni mobili o immobili. Sempre limitatamente all’ipotesi di beni mobili o immobili, l’ordinanza di ammissione alla conversione libera i beni pignorati.

Qualora sia concessa la conversione, l’omesso versamento dell’importo integrativo, o il ritardato pagamento oltre 30 giorni di uno solo dei ratei eventualmente accordati, avrà come effetto l’incameramento degli importi già versati fra i beni pignorati e l’avvio della vendita dei beni già oggetto di pignoramento, previo provvedimento del Giudice dell’Esecuzione, su istanza del creditore procedente e/o di uno degli intervenuti, purché muniti di titolo esecutivo.

Mentre non desta alcuna critica il fatto che secondo la Suprema Corte non possa aver luogo la conversione quando di tale strumento il debitore si sia già avvalso nel medesimo procedimento esecutivo (sentenza n. 27852/2013), suscita qualche perplessità il divieto di applicare le regole vigenti in tema di conversione del pignoramento e relativa facoltà di rateizzazione, anche al pignoramento presso terzi. Perché mai il debitore che si trovi in difficoltà economica e venga aggredito da un creditore con un pignoramento del conto corrente, non dovrebbe aver diritto di accantonare pian piano le somme dovute, al pari del destinatario di un pignoramento immobiliare?

Non resta che attendere in tal senso qualche passo della giurisprudenza, nel silenzio del legislatore.

Roberta Romeo

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